Mallozzi Vittorio di Gennaro e Lauri Filomena, nato il 22 ottobre 1909 nella casa posta nella Fornace Bardini ad Anzio (Roma), posta nella cosiddetta Valle dell’Inferno (oggi Valle Aurelia), per la concentrazione di fornaci per laterizi. Fornaciaio, comunista. Il padre alla sua nascita ha 52 anni e Vittorio ha sicuramente un fratello, Giuseppe, ed una sorella, Teresa, maggiori di lui. Tutti i maschi della famiglia lavorano nelle fornaci di laterizi ed in inverno nei campi come braccianti. Col crescere dello squadrismo si intensifica la resistenza da parte degli operai proletari e ciò determina violenti scontri. Mallozzi, sottoposto alla visita medica militare nel 1927 e 1928, viene giudicato rivedibile per insufficienza toracica. Nel 1928 si sposta da Anzio a Roma in via Valle dell’Inferno 37, e due anni dopo è arruolato nei Granatieri come abile per servizi sedentari. Aderisce in quel periodo al Partito Comunista d’Italia nella Federazione romana, operando come caposettore del partito nei quartieri Trionfale, Borgo e Aurelio. Identificato con altri compagni dalla polizia, nel 1933 sfugge all'arresto nascondendosi nelle fornaci ed espatriando clandestinamente in Jugoslavia. Poi attraversa l’Austria e la Svizzera per giungere nel 1934 in Francia, stabilendosi nelle vicinanze di Tolone a La Seine-sur-Mer, dove trova lavoro come cementista nell’impresa di Alberto Galassi, che poi morirà a seguito delle ferite ricevute in Spagna come volontario garibaldino. Successivamente, probabilmente su indicazione del Partito si trasferisce a Montreuil (Seine-et-Oise), dove svolge attività politica nei gruppi di lingua italiana del Partito Comunista francese. A seguito dello scoppio della guerra civile, l'11 novembre 1936 parte da Tolone per la Spagna e si arruola nelle formazioni antifranchiste col nome di battaglia di “Carlo Micheli”, dapprima nel gruppo di Guido Picelli, che lo addestra militarmente ad Albacete, poi tenente commissario politico della 2. Compagnia del Battaglione Garibaldi. Partecipa alle battaglie di Boadilla, Mirabueno, Majadahonda, Arganda e Guadalajara. A seguito del coraggio dimostrato, su proposta di Ilio Barontini, viene nominato capitano e comandante del 2. Battaglione della Brigata Garibaldi. La notizia della promozione appare il 7 aprile 1937 sull’organo delle Brigate Internazionale “Il Volontario della Libertà”. Successivamente combatte a Morata de Tajuña e Casa de Campo. Infine, è impegnato nel luglio 1937 sul fronte di Brunete a Villanueva del Pardillo. Nel settembre 1937 a Castelnou (Aragona) nel corso del trasferimento del battaglione, mentre viaggiava in motocicletta, è travolto da un camion che gli causa la frattura del femore e della tibia sinistra. Ricoverato nell’ospedale di Benicàssim, Lèrida e Barcellona nel marzo 1938 è dichiarato invalido. Sebbene non completamente guarito al momento della disastrosa ritirata d’Aragona, rientra al fronte per la riorganizzazione dei volontari in rotta. Il 9 maggio del 1938 ritorna in Francia, forse con un convoglio sanitario, ed è ricoverato all’ospedale di Eaubonne (Val d’Oise), dove rimane parecchi mesi. A Parigi collabora con l’Unione Popolare Italiana e con la Fratellanza Garibaldina. Rientrato a La Seine-sur-Mer, dopo ulteriori cure riprende a lavorare, ma nell’ottobre 1939 a seguito dello scoppio della guerra mondiale è arrestato ed internato nel Forte di Santa Caterina a Tolone. Successivamente trasferito il 28 maggio 1940 nel campo di Vernet e poi il 16 giugno 1941 in quello di Noè (Haute-Garonne) nei pressi di Tolosa. Dopo l’occupazione della Francia da parte dei tedeschi, su indicazione del Partito, fa richiesta di rientro in Italia e il 23 agosto 1941 è tradotto al confine. Arrestato alla frontiera dalla polizia italiana, è portato a Roma e dopo un interrogatorio, deferito alla Commissione Provinciale che con ordinanza del 17 ottobre 1941 lo assegna al confino a Ventotene (Latina) per cinque anni. Liberato alla caduta del fascismo il 24 agosto del 1943, giunge a Roma il giorno successivo e dopo l’8 settembre prende parte alla lotta di Liberazione come comandante di una formazione partigiana a Roma che opera nella zona di Valle Aurelia. Col grado equiparato a capitano viene incaricato della organizzazione militare dei patrioti delle zone Flaminio, Salario e Montesacro. Dopo aver portato a termine numerosi ed audaci azioni contro gli occupanti, è catturato dai nazisti durante una perquisizione. Interrogato e torturato in via Tasso viene incarcerato a Regina Coeli. Dopo essere stato processato, e condannato a morte, viene e fucilato il 31 gennaio 1944, ad un mese dall’arresto, a Forte Bravetta, da militi della P.A.I. (Polizia dell’Africa Italiana) insieme a Mariano Buratti ed altri otto antifascisti e militari entrati nella Resistenza, tutti condannati, com’è scritto nella sentenza del Tribunale Militare Straordinario, “perché preparavano atti di sabotaggio contro le forze armate germaniche e capeggiavano altri attentati contro l’ordine pubblico della città di Roma”. La notizia dell’esecuzione appare in un breve trafiletto sul giornale. Così apprende la notizia della sua morte l’antifascista Vasco Pratolini che scrisse nel suo racconto “Il mio cuore a Ponte Milvio” del dicembre 1944: “Il compagno più caro, un fornaciaio, colui che aveva... dato una disciplina al nostro entusiasmo, alle nostre stesse discussioni ideologiche; colui che ci aveva organizzato nel nostro ardore... fu arrestato a dicembre... di ciascuno di noi conosceva vita, morte e miracoli... Ma nessuno di noi pensò a trovarsi un rifugio diverso, di trasportare le armi, di cambiare deposito. Avrebbero potuto scorticarlo vivo, era sicuro; avrebbe detto "ahi", forse, non altro... Passò un mese preciso, era il 31 gennaio... Faceva freddo, sui viali della periferia tirava un vento diaccio che pigliava allo stomaco. A mezzogiorno mi incontrai col compagno che curava l'organizzazione militare del settore: uno studente in medicina...Un cuore allegro; con lui si rideva...[all'edicola] comprammo ciascuno una copia e subito...cadde lo sguardo su un neretto di prima pagina che recava i nomi di dieci patrioti fucilati. Vittorio Mallozzi era il terzo della lista. Io sentii un freddo più intenso; quando si dice che il sangue gela nelle vene, ora so che è una cosa reale...Guardai il mio compagno... Aveva gli occhi lustri. Lui parlo per primo. Disse: ‘Ammappelo! Annamo bene, annamo!’ La sua voce era strozzata.” Il 10 gennaio 1950 viene concessa a Vittorio Mallozzi la Medaglia d’oro al valor militare alla memoria con la seguente motivazione: “Rientrato in Italia l’8 settembre 1943 per combattere l’oppressore della Patria si arruolava in una formazione partigiana e, pur coprendo un posto di comando, partecipava volontariamente alle imprese più rischiose sempre primo tra i primi ed audace tra gli audaci. Catturato dai nazifascisti durante la preparazione di un ardito colpo di mano, veniva condannato a morte e mentre era portato sul luogo della pena lanciava al nemico parole di disprezzo e gridava ai posteri la sua fede nella resurrezione della Umanità oppressa”. Dopo la liberazione gli viene intitolata una sezione del PCI a via Sabino, nel quartiere Salario, che poi diventerà la sezione “Mallozzi” del PDS. Oggi sede dell’Istituto Gramsci dove nell’atrio è posta una lapide: “Vittorio Mallozzi, combattente per la libertà della Spagna, milite fedelissimo del Partito della classe operaia, donò per essa il sangue, il coraggio e l’ingegno. Cadde sereno sotto il piombo dei tedeschi occupanti il 31 gennaio 1944, lasciando ai compagni una fiamma perenne per la battagli dell’avvenire, 1909-1944”. Ad Anzio, città natale di Mallozzi, un tratto del lungomare è intitolata “Riviera Mallozzi” ed a Roma una strada è a lui dedicata.

Annotazioni: Trasferitosi da bambino con la famiglia a Roma, figlio di operai è egli stesso operaio fornaciaio. Si impegna prestissimo nella politica, diventando capo settore del PCd'I nei rioni romani di Trionfale e Borgo nell’organizzazione diretta da Pietro Grifone. Qui, insieme ad altri compagni, costituisce due cellule del partito. Nel 1933 la Questura di Roma scopre la sua attività , è costretto ad allontanarsi e a espatriare clandestinamente. Tenta la fuga insieme ad altri compagni che però non ce la fanno (Armando Antonini e Francesco Bennani). Raggiunge l’Austria e, grazie all’aiuto del partito, arriva prima a Montreuil-sous-Bois e poi a Toulouse dove risulta la sua residenza estera e le sue attività  di propaganda nelle organizzazioni di massa. Si sposta anche a Parigi dove entra in contatto con le organizzazioni antifasciste italiane in esilio.

Revisore: Erica Grossi

Annotazioni: L'11 novembre 1936 parte per la Spagna dalla Francia (secondo fonti del RGASPI; F.545; Op.6; F.476, da Tolone e non da Tolosa). Qui si arruola nelle milizie rosse spagnole e poi è assegnato al Battaglione Garibaldi della 12. Brigata. Durante i combattimenti intorno a Madrid, viene nominato Capitano e delegato politico della 2. Compagnia del Battaglione. Partecipa alle battaglie di Boadilla, Mirabueno, Majadahonda, Arganda, Guadalajara. A questo punto, prende il comando della compagnia e combatte a Morata de Tajuèa e Casa de Campo. Infine, sul fronte di Brunete diventa capitano al comando del 2. Battaglione della brigata Garibaldi. Nel settembre (marzo?) del 1937 resta gravemente ferito in un incidente stradale a Castelnau, dal quale riporta fratture del femore e della tibia sinistra. Viene ricoverato nell’ospedale di Valencia da qui poi trasferito all’ospedale di Barcellona. Qui è dichiarato invalido permanente e inviato a Aubonne (Svizzera). Nell’agosto del 1938 viene dimesso e torna a Parigi, probabilmente nell’ottobre del 1938, da dove - secondo una nota dei servizi fascisti d’informazione - s’impegna in un’attivissima propaganda di partito. Raccoglie fondi e diventa membro del Comitato di Assistenza del PCd’I per i volontari feriti, mutilati o prigionieri di Spagna. Alla fine del 1938 viene internato nel forte di Santa Caterina di Tolone e poi passa al campo di concentramento di Vernet per essere tenuto sotto controllo vigilato nel campo di soggiorno di Noè nella provincia di Tolosa.

Revisore: Erica Grossi

Annotazioni: Il 24 agosto 1941, accompagnato dalla gendarmeria francese, si presenta al posto di polizia di Ventimiglia dove viene arrestato e tradotto a Roma. Interrogato, si confessa antifascista e comunista, viene quindi condannato al confino politico nella colonia di Ventotene come èsocialmente pericoloso per la sua linea politicaè. Liberato alla fine di agosto 1943 per decreto ministeriale, torna a Roma e si impegna nella lotta partigiana di Liberazione della cittè. Partecipa alla riorganizzazione della Federazione Comunista romana ed è nominato viceresponsabile dell’organizzazione comunista a Roma. Verso novembre, poi, è comandante dei GAP e membro del comitato politico-militare della 3. Zona di Roma (quartieri Flaminio, Ponte Milvio, Salario e Parioli).

Revisore: Erica Grossi