Silvestri Manlio Albano Tullio Amilcare di Amleto e Maschio Elisabetta, nato il 9 marzo 1916 a Saccolongo (Padova). Operaio, comunista. Figlio di un medico di idee progressiste, lo zio Furio è prima socialista e poi dirigente comunista a livello provinciale. Terminati gli studi superiori a Padova, lavora come viaggiatore di commercio e, venuto a contatto con ambienti antifascisti, si iscrive al Partito Comunista. Nel 1935 espatria clandestinamente, attraversando Austria, Cecoslovacchia (Bratislava), Svizzer, giungendo infine a Parigi. Allo scoppio della guerra civile in Spagna, passa in Svizzera raggiungendo poi Parigi, per recarsi in Spagna. Respinto inizialmente perchè minorenne dopo alcuni mesi, nel novembre 1936 è arruolato nel battaglione Garibaldi della XII Brigata Internazionale, 3. Battaglione, 1. Compagnia. Ferito ad Arganda (Madrid) nel settembre 1937, dopo la guarigione, entra a far parte come furiere della 1. compagnia del 3. battaglione della Brigata Garibaldi. Nuovamente ferito a Huesca nel maggio 1938, combatte in Estremadura e partecipa all’ultima grande offensiva sull'Ebro nell’estate 1938, dove è citato all'ordine del giorno della Brigata per il suo comportamento valoroso a Caspe. Dopo il ritiro dei volontari internazionali, deciso dal governo repubblicano nel settembre del 1938 è avviato in un campo di smobilitazione. Alla caduta del fronte catalano all’inizio del 1939, nel febbraio ripara in Francia con i volontari rimasti. E’ internato in diversi campi francesi di cui l’ultimo è quello di Vernet, dove si manifestano i primi sintomi della tubercolosi. Dopo l’occupazione della Francia da parte dei tedeschi e degli italiani, nel 1941 è consegnato alle autorità italiane e il 7 novembre la Commissione provinciale di Padova lo condanna insieme a Pietro Zampollo, in quanto combattente antifranchista in Spagna, a cinque anni di confino, che sconta a Ventotene e Ponza. Ammalatosi di polmoni è ricoverato in un ospedale di Napoli quando ai primi di settembre 1943 scoppia la rivolta contro i tedeschi. Silvestri fugge dalla clinica e partecipa ai combattimenti. Attraversata fortunosamente la linea gotica torna in Veneto, a Padova e poi nel bellunese dove entra in contatto con gli antifascisti del “gruppo Mione”, che presto abbandona per le posizioni attendiste. Il 7 novembre 1943 col fratello Riccardo e Sergio Cardin è tra i primi organizzatori della Resistenza nel Bellunese sui monti del Lentiai. Con il nome di battaglia di "Giovanni Monteforte", è il primo commissario politico del Distaccamento Garibaldi "Luigi Buscarin" (recte Boscarin) , dedicato al volontario di Feltre caduto in Spagna, un gruppo multietnico che comprende anche tre sovietici, tre montenegrini e uno sloveno, tutti fuggiti dalla prigionia. Il gruppo compie diverse azioni di sabotaggio. Ai primi di gennaio del 1944 il gruppo diventa la Brigata "Tino Ferdiani", dal nome di un partigiano bolognese caduto, primo embrione della Divisione d'assalto Garibaldi "Nino Nannetti". Organizza e partecipa a numerose azioni tra cui l’assalto ad una caserma dei Carabinieri nel tentativo di liberare il partigiano Eliseo Dal Pont. Nel marzo 1944 a causa di un peggioramento delle condizioni di salute è allontanato dal reparto per curare la tubercolosi ed inviato prima a Padova poi all’ospedale Santa Chiara di Trento, dove opera un medico resistente, Mario Pasi. Una volta dimesso riprende con Armando Peruzzo la lotta armata partigiana in Trentino, partecipando alla costituzione in Val di Fiemme di una formazione partigiana (da alcune fonti identificata con il Battaglione “Cesare Battisti” appartenente alla Brigata Garibaldi "Antonio Gramsci" di Feltre), di cui diviene commissario politico e intendente. Si rifugia a Maso Pàierla presso Vigilio Devigili, che diventerà primo sindaco di Lavis dopo la Liberazione. Il partigiano Ferdinando Tonon così lo descrive: “Silvestri era allora un giovane di 28 anni; alto, un bel ragazzo. Pur essendo in quei frangenti appariva sempre estremamente curato. Ricordo le sue camicie bianche e azzurre, l’impermeabile color bruciato; i suoi vestiti e le scarpe erano sempre a posto; devo aver ancora da qualche parte, a casa mia, la forma di legno per tenere sempre a posto le sue scarpe. Aveva una notevole preparazione politica, una grande forza di convinzione ed una preziosa esperienza di lotta armata che gli veniva dalla guerra di Spagna: tra noi era l’unica ad averla. “Monteforte” cominciò con l’organizzare i primi tre nuclei partigiani che sorsero nel Trentino: il primo di sette, otto elementi fu nella zona di Malga Spor; altra zona di operazione era quella del lago Santo, in Val di Cembra. Il secondo nucleo fu in Val di Non. […] Il terzo gruppo, quello più consistente, che prenderà poi il nome di distaccamento autonomo “Cesare Battisti” in Val Cadino, una valletta laterale della Val di Fiemme. Silvestri raggiunse i compagni in Val Cadino dopo quest’opera di organizzazione che occupò i mesi di febbraio, marzo e aprile [1944]”. Tra il 23 ed il 24 maggio 1944 Silvestri è catturato causa di una spia in Val Cadino dai nazifascisti durante un rastrellamento da parte del Corpo di Sicurezza Trentino guidato dalle SS, a Borgo Valsugana in casa del compagno Angelo Peruzzo, anch'egli arrestato. Dopo due giorni nel carcere locale tenta la fuga ma viene fermato e tradotto a Trento, al carcere di via Pilati e poi a Villa Triste. Subito sottoposto ad un duro interrogatorio, per timore di tradire i compagni si getta con le mani su una vetrata e per le ferite ricoverato in infermeria. Tradotto in seguito a Bolzano, al carcere di via Dante e poi al Comando del Corpo d'Armata tedesco, è a lungo torturato. Il 25 luglio il Tribunale Speciale per la Zona di operazioni delle Prealpi di Bolzano (Sondergericht fuer die Operationszone Alpenvorland) lo condanna a morte. Quando gli viene proposto di inoltrare domanda di grazia risponde di essere disposto a farlo solo di poter utilizzare la grazia eventualmente concessa a lui per salvare un altro compagno. Viene allora portato con Angelo Peruzzo e Armando Bortolotti anche loro condannati a morte a Sappada (Belluno), dove erano stati catturati dalla Resistenza tre ufficiali tedeschi, con l’accordo di scambiarli. Purtroppo nella notte gli ufficiali tedeschi tentano al fuga e vengono inseguiti ed uccisi. Silvestri è quindi impiccato il 29 luglio con Peruzzo, comandante della sua formazione e Bortolotti. Le sue ultime parole prima di essere impiccato sono “I comunisti amano la patria, amano il loro partito. Potete oggi impiccarmi, ma gli sconfitti sarete voi.” A “Giovanni Monteforte” viene dedicata una Brigata comandata da Mario Carrozzini, operante nelle valli di Non e di Sole. Con decreto presidenziale 21 dicembre 1978 è insignito di Medaglia di Bronzo al Valor Militare alla memoria per l'attività partigiana. È ricordato nel Monumento Ossario ai caduti per la Liberazione nel Cimitero comunale di Belluno in località Prade.

Revisore: Elena Scarfi

Revisore: Elena Scarfi

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