Rosi Siro di Galileo e Mascherini Angela, nato il 14 febbraio 1915 a Roccastrada (Grosseto). Decoratore e contabile, comunista. Di famiglia di tradizioni socialiste, suo padre è un ferroviere sempre primo negli scioperi, minacciato, aggredito e malmenato dagli squadristi. Dopo aver frequentato alcune classi di scuola elementare, a sette anni Rosi si trasferisce a Grosseto e dai primi anni Trenta è in contatto con l'organizzazione comunista di Grosseto, soprattutto grazie ad Elvino Boschi, allora fidanzato della sorella che incontrerà poi in Spagna. Finite le scuole professionali, inizia a lavorare in un reparto dell’Ansaldo dove si costruivano hangar per le artiglierie. Nel 1931 partecipa alla sua prima riunione politica, con i principali comunisti grossetani. Soldato di leva, è assegnato in Sardegna è congedato il 12 ottobre 1935, ma il 18 aprile 1936 è nuovamente chiamato alle armi. Assegnato alla 15. Compagnia distrettuale di stanza a Cagliari e aggregato al 29. Reggimento fanteria per dieci mesi. Quando viene offerta la possibilità di andare in Spagna, decide di partire volontario nelle milizie fasciste, già con l'intenzione di passare alle forze repubblicane. Il 17 febbraio 1937 è assegnato nel 31. Reggimento di Fanteria, nella 2. compagnia del battaglione d'assalto della 1. Brigata Mista “Frecce Azzurre” del CTV e si imbarca sulla nave “Sicilia” da Napoli per Cadice. Arrivato in Spagna dopo 5 giorni, si sposta con il battaglione prima a Dos Hermanos, vicino Siviglia, poi a Zafra, nella provincia di Badajoz, e infine Granja de Torrehermosa. Qui nella notte tra il 18 e il 19 aprile diserta insieme a Edmondo Della Santa, raggiungendo le file repubblicane che occupano Campillo (Badajoz). I due portano con sé armi e munizioni ed affrontano il lungo percorso in terra di nessuno per tutta la notte, ma sfortunatamente Della Santa viene ferito gravemente, per errore, dagli stessi compagni ai quali vuole unirsi. Per questa fuga è iscritto in Rubrica di Frontiera e nel Bollettino delle Ricerche per l'arresto. Inoltre il 16 novembre 1938, con sentenza n. 623 (n. 485/1937 del processo), il Tribunale militare del CTV in Vitoria lo condanna in contumacia alla pena di morte previa degradazione, per diserzione nella notte tra il 18 e 19 aprile 1937 con passaggio al nemico, e il 16 maggio 1939, con sentenza n. 61, il Tribunale militare supremo conferma la sentenza. La vicenda giudiziaria di Rosi proseguirà fino al 1962: il 16 luglio 1947 (sentenza n. 1073) il Tribunale militare territoriale di Roma commuta la pena a 5 anni di reclusione militare condonata condizionalmente e solo il 18 dicembre 1962 la Corte d'Appello di Roma accoglie la domanda di riabilitazione (n. 493/62 Registro riabilitazioni). Intanto in Spagna trascorre alcuni giorni nel carcere di San Michele a Valencia, dove incontra alcuni dirigenti del Pcd'I tra cui Velio Spano, Ilio Barontini, cugino di suo cognato Elvino Boschi (marito della sorella Licena), che garantisce per lui. Rilasciato, è trasferito ad Albacete. Viene allora ammesso alla scuola ufficiali di Pozorrubio presso, terminata la quale è inquadrato nella 2. compagnia del 3. battaglione della brigata Garibaldi e dinviato sul fronte di Caspe dove incontra Angiolo Rossi di Grosseto, un suo amico di gioventù. Combatte a Fuentes de Ebro, dove è ferito alla gamba destra il 28 agosto 1937, e quindi ricoverato nell'ottobre 1937nell'ospedale militare di Benicasim. Torna a combattere in Estremadura, e poi a Caspe, dove il 18 marzo 1938 è ferito al volto, e infine sulla Sierra Caballs sull'Ebro, dove il 9 settembre 1938 è ferito alla testa, al braccio, alla spalla ed alla coscia destri, per cui è ricoverato negli ospedali militari di Valencia e Caldas de Malavella in Catalogna. Dopo la dicisone del ritiro dei volontari inetrnazionali presa dal governo repubblicano nel settembre 1938, il 3 gennaio 1939, Rosi risulta presente nel campo di smobilitazione di Torellò. Il 9 febbraio esce dalla Spagna ed è internato nei campi francesi di St. Cyprien, Gurs (dove si trova dai primi mesi del 1939) e, dal 19 maggio 1940, Vernet, nella cui infermeria è ricoverato per vari mesi. Convocato dalle autorità fasciste, gli viene offerto il perdono in cambio di un atto di sottomissione al Duce, ma Rosi rifiuta. Per un breve periodo è arruolato anche nelle Compagnie des travailleurs ètrangers (CTE) ed impiegato in fattorie nei dintorni del campo. Il 31 agosto 1941 riesce a evadere da Vernet con l'aiuto dei compagni, per evitare di essere consegnato ai fascisti che l'hanno condannato a morte, e raggiunge Tolosa. Da lì si aggrega alle formazioni della Resistenza francese. Con la falsa identità di Juan Medinas è partigiano nei Francs-Tireurs et Partisans col grado di capitano, prima nella zona di Tolosa, poi nel dipartimento delle Bocche del Rodano, quindi a Nizza, a Lione e a Saint-Etienne de Toulmont, con il grado di capitano. Arrestato il 22 luglio 1943 a Fontaine per mancanza di carta d'identità di straniero e uso carta di identità falsa, il 17 settembre è condannato dal Tribunale di primo grado di Grenoble a due mesi di carcere. Tornato a combattere, è gravemente ferito e perde un occhio maneggiando un ordigno destinato a distruggere aerei tedeschi vicino al campo d'aviazione di Bron. All'inizio del 1944, su incarico del Partito, torna in Italia. Con il nome di battaglia “Lino” dal primo aprile 1944 è ispettore regionale della Delegazione lombarda del Comando generale delle Brigate Garibaldi e, nel settembre 1944, commissario politico della 90. Brigata Garibaldi "Zampiero", operativa in Valchiavenna. Nell'aprile 1945 si trova nella zona tra Chiavenna e Dongo quando la colonna di Mussolini è fermata mentre tenta la fuga ed è incaricato di trasportare a Milano gli ingenti beni sequestrati. Nel dopoguerra, tornato a Grosseto, è segretario della locale Federazione del PCI, ma, essendo ancora in vigore la condanna per diserzione, decide di espatriare e si traferisce prima in Francia, dove è dirigente dei comitati di “Italia libera” nella zona di Tolosa, poi in Polonia, a Varsavia. Il 3 ottobre 1949 la Sezione istruttoria della Corte d'Appello di Milano, con sentenza n. 772/49/RG, lo rinvia a giudizio davanti alla Corte d'Assise di Como con l'accusa di peculato con danno molto rilevante e di malversazione per aver distratto valori sequestrati a Rosa Mittag (moglie del ministro Ruggero Romano, fucilato a Dongo) e altri valori sequestrati a componenti la colonna Mussolini in Chiavenna e Bassa Valtellina tra fine aprile e inizio maggio 1945. Nel 1957 torna in Italia per affrontare il nuovo processo per l'oro di Dongo, iniziato il 29 aprile presso la Corte d'Assise di Padova, sospeso il 19 agosto e mai ripreso fino al proscioglimento di tutti gli imputati per sopravvenute prescrizioni e amnistie. Per quanto riguarda Rosi, il 26 maggio 1970 il Tribunale penale di Padova dichiara di non doversi procedere per essere i reati estinti per amnistia. Trasferitosi nel frattempo a Roma, lavora presso la Direzione del Partito comunista fino al 1980. Sposato con Anna Elide Rech, muore a Roma il 13 marzo 1987. Il 2 maggio 1974 gli è conferita la Croce al Merito di Guerra per la sua attività partigiana.

Battaglia di Fuentes de Ebro (fino al 28 agosto 1937)
Ritirata di Caspe (fino al 18 marzo 1938)
Battaglia di Sierra Cabals (fino al 9 settembre 1938)
Processo per l'oro di Dongo (dal 3 ottobre 1949 fino al 26 maggio 1970)
Annotazioni: Secondo INSMLI, fondo Archivio Aicvas, b. 6, fasc. 42 nel gennaio 1939 partecipa alla difesa di Barcellona. Secondo alcune fonti evade dal carcere di Saint-Joseph a Grenoble.

Revisore: Elena Scarfi

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Revisore: Elena Scarfi

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