Jacchia Pietro Giusto (detto Piero) di Eugenio e Fano Clementina, nato l' 8 aprile 1884 a Trieste. Insegnante, aderente a Giustizia e Libertà. Appartenente a una famiglia agiata di religione ebraica, il padre è un commerciante di granaglie, farine e sementi in società con i due fratelli. Alla morte del padre, quando Pietro ha diciotto anni, a seguito del lutto, la famiglia si divide a causa delle diverse carriere intraprese dai figli: Paolo inizia l’università nella capitale austriaca per far ritorno a Trieste nel 1909; la madre, Clementina Fano, si trasferisce con la figlia Irene a Firenze. Jacchia lascia quindi Trieste forse anche per evitare l'arresto da parte della polizia austro-ungarica per la sua attività irredentista e si trasferisce a Bologna dal cugino Eugenio dove è possibile frequenti l’Università. Tornato a Trieste nel 1906 o 1907 si stabilisce dallo zio Giorgio, per poi ritornare a Bologna nel 1909 divenendo redattore del quotidiano “Giornale del Mattino”, un giornale irredentista locale. Di nuovo a Trieste vi rimane sino al 1911, iniziando a lavorare probabilmente nell’azienda di famiglia, ma poi nel 1913 è di nuovo a Bologna, dove ottiene il posto di insegnante di Lingue Estere presso il Liceo-ginnasio Luigi Galvani, insegnamento che l’anno successivo prosegue a Modena. Prima dello scoppio del primo conflitto mondiale, egli consegue la laurea in lingue e letterature straniere, specializzandosi in inglese, tedesco e francese. La letteratura, e più precisamente la poesia, è la sua grande passione, tanto che prima di abbandonare l’Italia scriverà, diverse raccolte di liriche e vari poemetti. Accanto alle belle lettere, è però la politica ad attirare l’attenzione del giovane triestino e forse per l’influenza del cugino Eugenio diventa un appassionato irredentista. Coerente con il suo credo irredentista, allo scoppio della guerra mondiale nel 1915, si presenta come volontario a 31 anni nell’arma dei bersaglieri col grado di tenente assieme al diciannovenne cugino bolognese Mario Jacchia. Combatte nei pressi di Gorizia, dove si ammala gravemente; dopo una lunga degenza in ospedale, ritorna al suo posto nonostante il Comando italiano abbia invitato i sudditi austriaci a non impegnarsi in prima linea ed è decorato di una croce di guerra. Testardo e passionale, si unisce nel 1917 ad una compagnia che si dirige ad oriente per accogliere i battaglioni cecoslovacchi. Smobilitato, il 23 marzo del 1919 è presente a Milano alla costituzione del primo Fascio italiano, nella riunione di piazza San Sepolcro. Jacchia, come tanti ex combattenti, subisce infatti il fascino del mito dannunziano della Vittoria mutilata, che si diffonde in un clima di irredentismo trionfante, teso alla difesa dell’italianità e alla lotta contro la minaccia slava e socialista. Il 3 aprile del 1919, un suo nuovo articolo si conclude con un proclama di battaglia «contro il bolscevismo e contro l’organizzazione dello Stato, confusionaria, antidemocratica, inefficiente, piena di ingiustizie palesi». Nella primavera del 1919 Pietro Jacchia è attivissimo: il 23 aprile comunica al Regio governatorato della Venezia Giulia di aver costituito assieme a Fulvio Suvich (deputato nazionalista nel 1921 e futuro sottosegretario alle Finanze nel 1926) e Vittorio Fresco un Comitato antibolscevico d’azione: obiettivo del comitato è raccogliere forze cittadine di carattere nazionale, nell’eventualità che si verifichino manifestazioni di carattere antipatriottico e fonda il 16 maggio 1919 l’Associazione reduci di guerra delle terre adriatiche. Da queste posizioni, il 23 maggio 1919, Jacchia è cofondatore e fiduciario provvisorio del Fascio di combattimento di Trieste, quando viene approvato lo statuto alla presenza di oltre duecento persone. Egli prosegue proponendo l’istituzione di una «casa dell’operaio» fornita di giornali, libri, opuscoli, carte topografiche per divulgare l’appartenenza all’Italia, organizzare conferenze, conversazioni ed incontri per aiutare gli operai nelle questioni burocratiche e altro. Il nuovo clima che si respira in città esalta Jacchia e il suo entusiasmo, la sua frenetica attività politica, lo portano senza indugi ad appoggiare sin dal primo giorno l’impresa dannunziana su Fiume del 12 settembre 1919. È presumibile che egli abbia partecipato alle prime battute dell’avventura, ma che poi sia ritornato a Trieste, dove è presente già nel febbraio del 1920. Nella riunione del maggio 1920 in cui vengono istituite le prime squadre d’azione, Jacchia viene nominato membro del Consiglio direttivo. Collabora a 'Il Popolo d'Italia' e partecipa alla Marcia su Roma. Dopo la vittoria del fascismo, Pietro Jacchia si deve rendere conto che il movimento da cui tanto si aspettava si sta trasformando gradualmente in un sistema di potere che nega ogni libertà. In seguito al delitto Matteotti e alle persecuzioni antimassoniche, società alla quale forse è iscritto, matura il lui una profonda autocritica che lo porta su posizioni decisamente antifasciste. Nella primavera del 1926 si dimette dal PNF e nel settembre del 1926 è costretto a trasferirsi prima a Livorno poi a Genova ed infine a Catania per insegnare il tedesco nel locale liceo scientifico, dove esprime chiaramente il suo dissenso nei confronti del fascismo al punto da non rispondere al saluto romano che gli veniva rivolto dai propri colleghi e dai propri discepoli. Sospeso dalla scuola, nel 1927 è radiato dall'insegnamento per indisponibilità al giuramento di fedeltà al regime. Rientrato a Trieste si trova impossibilitato a trovare un nuovo lavoro per i suoi trascorsi insegna lingue privatamente a Milano e, a seguito della morte della madre, ottiene dopo diversi rifiuti il passaporto ed espatria il 23 luglio 1931 con la moglie, attraverso il valico di Piedicolle (oggi Tolmino), dapprima in Austriaa Vienna, poi in Germania ad Amburgo ed infine in Olanda a L’Aia, dove prosegue la sua attività di insegnante per quattro anni. Schedato dalla polizia, nel 1932 è escluso per motivi politici dal brevetto sansepolcrista. All’inizio del 1936 si porta dall’Olanda in Inghilterra a Londra, dove frequenta Don Sturzo. Qui riprende l’attività antifascista, prendendo contatto con i fratelli Rosselli e l’organizzazione di Giustizia e Libertà a Parigi. Dopo l’insurrezione militare in Spagna, all’inizio di settembre 1936 si porta a Barcellona col nome di Fulvio Panteo, arruolandosi nella Sezione Italiana di Carlo Rosselli e Camillo Berneri, aggregata alla Colonna Ascaso della CNT-FAI, dove sono assai preziosi i suoi trascorsi di combattente della Grande guerra. Sa come si maneggia un fucile, conosce le armi e la vita di trincea, è un punto di riferimento per tutti coloro che sono alla prima esperienza bellica. Il suo entusiasmo e il suo sorriso rassicurante contagiano i suoi compagni che lo apprezzano e lo rispettano. Il 4 ottobre 1936 è ferito a Huesca alle gambe ed alle braccia. Trasferito all’ospedale di Lleida, città catalana vicino all’Aragona, vi resta per alcune settimane. In Italia viene iscritto nel Bollettino delle Ricerche e nella Rubrica di Frontiera per il provvedimento di arresto. Dopo la convalescenza a Barcellona giunge giunge ad Albacete, sede delle Brigate Internazionali, ad inizio novembre, e dichiara: «sono Jacchia e voglio andare a Madrid». Torna quindi al fronte con il battaglione Garibaldi, con il grado di capitano di stato maggiore e dal fronte aragonese si sposta in Castiglia per difendere la capitale Madrid, ormai pressoché circondata dalle truppe nazionaliste dal 7 novembre. Egli opera, ad inizio gennaio, ad ovest di Madrid, sul fronte tra Villanueva del Pardillo e Las Rozas. Per le sue doti di scrittore e poeta, viene invitato a lasciare la prima linea per il cronista del battaglione, ma rifiuta preferendo combattere. Muore in combattimento a 52 anni il 28 gennaio 1937 a Majadahonda, sul fronte di Madrid.

Annotazioni: Altre fonti riportano il 14 gennaio 1937 come data di decesso. ll suo nominativo è presente in una pubblicazione del Ministero dell\\\'Interno. La presente biografia è stata integrata con le informazioni tratte da \\\'Fascismo anno zero\\\', Mimmo Franzinelli, Mondadori 2019 e dall\\\'articolo «Sono Jacchia e voglio andare a Madrid. La vita di Pietro Giusto Jacchia (1884-1937)\\\" di Nicola Revelant pubblicato su «Qualestoria» n. 1, giugno 2011