Giopp Giobbe di Luigi e Melchioretto Lucia, nato il 28 gennaio 1902 a Lamon (Belluno). Ingegnere elettrotecnico, repubblicano. La madre sposa in seconde nozze il finanziere Efisio Melis. Ancora adolescente s’innamora di Fanny Susin, la figlia del farmacista di Lamon, divenuta poi maestra, che ricambia il sentimento e sarà vicino a lui fino alla morte. Studente di ingegneria all'Università di Verona, si laurea in ingegneria elettrotecnica al Politecnico di Milano. E’ membro del partito repubblicano e della Massoneria. Attivissimo antifascista nel primo dopoguerra, nel 1926, organizza la fuga di dirigenti repubblicani con le loro famiglie tra cui Facchinetti, Chiesa e Schiavetti. Si rende poi disponibile ad un piano di attentati dimostrativi, ma attratto in un tranello è arrestato il 21 marzo 1928. Poco dopo è arrestata la fidanzata residente ancora a Lamon. Il 12 aprile 1928, scoppia la bomba alla Fiera di Milano con 20 morti. L’obiettivo, secondo la polizia, era Re Vittorio Emanuele, che sfugge all’attentato per pochi minuti. Pur essendo Giopp estraneo all’attentato la polizia tenta di coinvolgerlo per la dimestichezza con gli esplosivi. Arrestato nel marzo 1928 con un prototipo di ordigno incendiario, e gravemente indiziato di essere l’autore dell’attentato del primo maggio 1927 contro il monumento a Napoleone III, durante la detenzione Giopp non fa i nomi dei suoi compagni cospiratori, se non quelli già noti alla polizia. Il futuro capo della polizia politica Leto, lo descrive come “soggetto intelligentissimo dai riflessi fulminei, più che impassibile gelido, tetragono ad ogni insidia dialettica e che non si abbandonò assolutamente a confessioni”. Dopo qualche mese di carcere, deferito alla Commissione provinciale, è assegnato il 12 luglio 1928 al confino per cinque anni a Ponza. Il 16 luglio 1930, durante una breve licenza a Milano per sostenere esami universitari, essendo Giopp iscritto alla facoltà di Matematica, evade, secondo la polizia travestito da prete, e si porta in Francia iniziando a lavorare con la Concentrazione antifascista ed il gruppo della Giovane Italia. Il 6 dicembre 1930, pubblica un articolo sul quotidiano “Manchester Guardian” e sul giornale della Concentrazione Antifascista “La Libertà”, in cui racconta le sue vicissitudini in Italia e accusa la polizia di aver cercato di addossargli la colpa dell'attentato alla fiera di Milano. Successivamente Giopp viene accusato da un articolo pubblicato sul giornale “La Tribuna” di Roma, di aver denunziato alcuni compagni durante la prigionia, accuse che l’ingegnere respinge, ma che appannano la sua figura nel gruppo repubblicano. Secondo Mimmo Franzinelli Giopp, pur di uscire dal carcere, finge di accettare la proposta del capo dell'OVRA Leto di infiltrarsi tra gli antifascisti. Tuttavia, una volta all'estero infrange i patti e riprende in pieno l'attività contro il regime insieme all'ex deputato Cipriano Facchinetti: Giopp mette in opera nella periferia di Parigi un laboratorio per preparare esplosivi e collabora con Domenico Bovone. I documenti contro di lui, sarebbero la vendetta della Polizia per il suo mancato rispetto degli accordi di collaborazione. Secondo Franzinelli Giopp è in realtà strettamente controllato dalla polizia fascista attraverso vari doppiogiochisti e infatti la sua attività terroristica viene utilizzata a più riprese per screditare i fuoriusciti. Giopp viene comunque sottoposto ad un giurì d’onore composto da Leti, Schiavetti ed il giellista Cianca per chiarire la sua posizione nei confronti della polizia italiana, che emette nell’ottobre 1932 una sentenza lui sfavorevole sia pure a maggioranza (Schiavetti volta a suo favore). Decide pertanto di appartarsi dalle attività del partito e della politica. Dal 16 gennaio 1937 prende parte alla guerra civile spagnola e organizza un’azione bellica destinata all’affondamento con mine subacquee di navi militari ancorate a Ceuta, un porto spagnolo sul lato marocchino dello stretto di Gibilterra controllato dai franchisti, ottenendo l’autorizzazione ed il finanziamento dal ministro della Marina e dell’Aviazione, il socialista Indalecio Prieto. Il progetto prevede la massima segretezza. Le mine dovrebbero essere costruite nell'arsenale repubblicano della Marina a Cartagena. Oltre a Giopp la squadra è composta dagli anarchici Umberto Tommasini e Giovanni Fontana e dal triestino Alfredo Cimadori, quest'ultimo in realtà un fiduciario della polizia politica fascista (col codice OVRA n. 492 e lo pseudonimo di "Febo"). La pericolosa operazione non viene portata a termine perché il gruppo viene intercettato da un posto di blocco della Guardia d’Assalto e incarcerato a Valencia il 20 febbraio 1937 nell’ex convento di Santa Ursula, con l’accusa di spionaggio degli impianti militari e gli arsenali. I fermati vengono sottoposti a stringenti interrogatori con minacce di morte da parte della polizia repubblicana. Sulle ragioni di questo arresto esistono varie interpretazioni; tutte si riferiscono in ogni modo ai contrasti esistenti, anche a livello governativo, fra le varie componenti del fronte repubblicano, in particolare tra il primo ministro Largo Caballero e Indalecio Prieto. In alternativa è anche possibile un intervento dei servizi segreti italiani informati dell’operazione da Cimadori. Giopp viene interrogato ma si rifiuta di rispondere dicendo: “Io sono un soldato e rispondo solo alla presenza del mio superiore, di Prieto”. Tommasini riesce ad evadere ma su richiesta della CNT/FAI rientra in carcere per consentire in proseguimento delle trattative per liberare l'intero gruppo, gestite dall'anarchico Garcia Oliver, Ministero della Giustizia con il Ministro degli Interni socialista Angel Galarza. Giopp è liberato il 14 marzo 1937, per intervento del ministro Carlos Esplà del Partito Repubblicano e immediatamente rimandato a Parigi. Tommasini e Fontana sono liberati alcuni giorni dopo, mentre Cimadori resta in carcere sino a metà aprile. In ogni modo l’attività di Giopp in Spagna è controversa, tanto che lo storico Gaetano Salvemini lo bolla nel dopoguerra come una delle più pericolose spie inviate dalla polizia segreta italiana. Nel 1941 alcuni anarchici reduci dalla Spagna confinati a Ventotene ove si trova anche Ernesto Rossi, raccontano a quest'ultimo che un tribunale spagnolo per questo episodio aveva condannato a morte per tradimento sia Giopp sia il suo amico Alfredo Cimadori, ma che alla fine si sarebbero salvati per intervento della massoneria francese e spagnola. Rientrato in Francia si trasferisce in Brasile per svolgere ricerche minerarie, finché nel 1938 si trasferisce in Messico, dove intraprende la carriera d'ingegnere occupandosi dell’estrazione di mercurio, poi in una impresa di legname tropicale ed infine nelle coltivazioni di cotone. Nel dopoguerra Giopp, intenta causa a Ernesto Rossi e Gaetano Salvemini per difendersi dall'accusa di essere stato una spia: in quell'occasione, sarebbe riuscito a dimostrare nei suoi memoriali che la spia, in realtà, era il quasi omonimo giornalista Mirko Giobbe, che fu poi direttore del quotidiano La Nazione di Firenze durante la Repubblica Sociale Italiana. La causa non giunge comunque in Tribunale, per l’intervento di comuni amici verso una soluzione amichevole. In tutti questi anni rimane sempre in contatto con Fanny Susin, che quando va in pensione lo raggiunge e lo riporta a casa a Lamon per vivere finalmente insieme. Ma qualcosa non funziona. Giobbe, l’uomo atteso per una vita, non è più quello di un tempo. Malato di Alzheimer se ne ritorna in Messico dove muore a Città del Messico nel 1983 a 81 anni. Fanny morirà dopo di lui il 10 giugno 1992 a 92 anni.