Gibelli Primo di Angelo e Bianchi Rosa nato il 27 dicembre 1893 a Milano all’Ortica. Operaio, aviatore, comunista. La famiglia è originaria di Caravaggio (Bergamo). L’educazione di Primo è curata dal nonno Giovanni che era stato garibaldino. Dopo qualche anno il padre di idee socialiste su invito di alcuni parenti, trova lavoro alla FIAT di Torino e pertanto la famiglia si trasferisce nel capoluogo piemontese, stabilendosi in via Moncalieri, 254. Nel 1905 va a studiare in Francia a Besançon presso parenti: vi frequenta il ginnasio per tre anni. Al ritorno a Torino lavora come apprendista in una piccola officina meccanica; alla sera frequenta una scuola tecnica e nel 1912 anche lui è assunto dalla FIAT, che lo impiega nel reparto collaudo motori d’aviazione. Nella fabbrica inizia la sua maturazione politica. Nello stesso anno s’iscrive alla federazione socialista di Torino e partecipa a manifestazioni contro la guerra di Libia e per questo finisce in prigione. Non è chiamato alle armi, perché considerato lavoratore indispensabile alla produzione bellica; nell’autunno del 1917 alla notizia dell’avvenuta caduta del regime zarista in Russia è coinvolto nelle manifestazioni d’entusiasmo nel corso delle quali è arresto con conseguente perdita del posto di lavoro. Per un certo tempo rimane in prigione e, quando ne esce, è obbligato a raggiungere una scuola militare fino alla fine del conflitto. Negli anni della guerra, conosce esponenti politici socialisti di Torino, tra i quali Antonio Gramsci, e nel 1919 rientrato alla FIAT è tra gli attivisti collegati al gruppo de “L’Ordine Nuovo “nel “biennio rosso”. Nel 1921 Gibelli aderisce alla scissione dal partito socialista ed entra far parte del neonato Partito Comunista d’Italia. fin dalla fondazione. E’ anche tra le “Guardie Rosse” che presidiano la sede de “L’Ordine Nuovo” a Torino in via Arcivescovado 3, anche con le armi: lo prova il fatto che il Tribunale di Pinerolo condanna Primo Gibelli a quattro mesi e dieci giorni di reclusione per possesso ingiustificato di armi e munizioni. Scontata la pena, temendo nuovi arresti, si reca a Caravaggio presso i cugini Stuani, anche loro comunisti. Uno dei due, Achille che è ferroviere, lo aiuta a espatriare nascosto in un vagone ferroviario. Varcata la frontiera italiana, Primo riesce a raggiungere l’URSS. Con le credenziali del PCd’I, Gibelli accettato nel partito sovietico russo e ammesso a far parte dell’Armata Rossa destinato a frequentare corsi di pilotaggio nella scuola di aviazione di Zaraisk. Nel 1923 ottiene il brevetto di pilota, che perfeziona nell’Istituto aeronautico di Kacinskoe in Crimea, a nord di Sebastopoli, fino al 1925. Precedentemente, nel 1924, si sposa con la cittadina sovietica Valentina Maraz, figlia di un amico e compagno d’armi, dalla quale ha una figlia Ernestina, nata il primo dicembre del 1926. Nel 1925 pilota, con il grado di tenente combatte nel Nord del Caucaso le bande controrivoluzionarie. Per il suo valore nel 1926 è decorato con l’ordine della “Bandiera Rossa di Combattimento”. Con lo stesso ruolo fornisce un contributo personale nelle lotte per liquidare strascichi della guerra civile persistenti in Asia Centrale. Nel 1928 salva con il proprio apparecchio un gruppo di pescatori in difficoltà nel Mar d’Azov, volando a bassa quota sul mare in tempesta. Per questa azione temeraria viene chiamato a Mosca e qui decorato con l’Arma Personale e nominato pilota istruttore. Nel 1928-1929 risiede con la famiglia a Rostov sul fiume Don. In questi stessi anni in Italia la polizia politica fascista perseguita suoi genitori, in particolare il padre che viene arrestato e addirittura torturato, senza che sveli la sorte del figlio. Più tardi Primo diventa collaudatore spericolato Eccessivamente temerario, ne combina parecchie. Un giorno scommette con un altro pilota che anche lui, come già Ckalov, sarebbe passato in volo sotto uno dei ponti della Moscova, dietro il Cremlino. Si porta sul fiume con il suo apparecchio, picchia in basso, ma non riesce più a mettere in linea l’aereo. Così va dritto sul fondo della Moscova, rompendosi le ossa e fracassando la macchina. Dopo l’ospedale, viene punito, ma mantiene la temerarietà, alla quale trovava come giustificazione: la necessità di trovare i limiti dell’apparecchio in volo. In seguito a questo fatto cerca in un primo momento di trovare lavoro come pilota civile; non riuscendovi si adatta a lavorare in fabbrica quale tecnico specializzato. Per sottrarre la famiglia alle vessazioni Primo favorisce il loro trasferimento in URSS, che si realizzerà nel 1934 ed il padre Angelo, grazie alla sua qualifica di operaio specializzato, trova lavoro alla fabbrica Stalin dove viene affiancato al figlio. La famiglia Gibelli si lega inoltre di grande amicizia con la famiglia di Antonio Gramsci, anch’essa residente a Mosca. Allo scoppio della Guerra Civile Spagnola si offre a Primo l’occasione di tornare a volare, alla vita avventurosa e a lottare contro il fascismo. Alla fine di agosto del 1936 Gibelli è tra i primi a raggiungere la Spagna, volontario nella delegazione sovietica. Nel suo lasciapassare è riportato il nome di copertura Josè Antonio Galiasso e il 9 settembre, su garanzie fornite da Togliatti, si arruola nella 2ª Squadriglia internazionale “Lafayette” della quale fanno parte sovietici, inglesi, francesi e spagnoli comandati da Antonio Martin Luna di stanza nell’aeroporto di Barajas. I compagni della squadriglia lo chiamano Josè Cordero. Gli aeroplani in dotazione sono obsoleti, in condizioni precarie e il supporto aeroportuale alquanto carente. Il tutto è reso più difficile anche dalla varietà di idiomi che incide negativamente sull’efficacia della difesa di Madrid. Nella base di Barajas, con le perdite subite nel corso dello stesso mese, restano solo cinque velivoli in condizione di combattere. Gibelli pilota sia i Breguet 19 che i Potez 540. Ai comandi di uno di questi va ad affrontare la sua ultima missione. A tale proposito si citano qui di seguito le due versioni circa le modalità della sua morte: il 30 ottobre tre Potez 540, pilotati da Proskurov, Goranov e Gibelli, partono dalla base di Barajas con l’obiettivo di bombardare Salamanca e Toledo. Sulla rotta del rientro sono intercettati da tre caccia italiani CR. 32 che li attaccano abbattono l’aereo di Gibelli mentre gli altri due, sia pur malconci, riescono a rientrare alla base. Tutti i membri dell’equipaggio dell’aereo condotto da Primo muoiono nello schianto. Secondo l’aviatore sovietico Demenciuk l’intera squadriglia di Potez 540, decollati dalla base di Albacete, il 13 novembre hanno come obiettivo un’azione a sud di Madrid. I bombardieri si levano in volo e puntano ad incontrarsi con i caccia d’appoggio, ma, non avvenendo il contatto, il comandante decide di rientrare all’aeroporto di Alcalà de Henares. Anche per le condizioni atmosferiche dall’aereo di Gibelli non si percepisce il segnale che ordina il rientro: in solitaria prosegue la missione, raggiunge gli obiettivi e li bombarda. Sulla via del rientro il Potez 540 di Gibelli è investito da un fuoco di sbarramento proveniente dalle linee nemiche, che lo abbatte e precipitando causa la morte di tutto l’equipaggio. Questa seconda versione sembra essere la più fondata poiché il giorno dopo su, Madrid assediata, cala col paracadute una rozza cassa scoperta, contenente le membra maciullate di un uomo e un biglietto: “Riprendetevi il vostro Antonio”. I resti di Primo Gibelli, orribilmente devastati sono riconosciuti dai famigliari: così testimonierà la figlia Ernestina molti anni dopo. Il Comitato Centrale del partito comunista dell’URSS concede a Gibelli il 31 dicembre del 1936 il titolo di Eroe dell’Unione Sovietica e, primo straniero, l’Ordine di Lenin. Nel 1971, in occasione del 50° anniversario della fondazione del PCI, il segretario Luigi Longo conferisce la Medaglia d’Oro alla memoria di Primo Gibelli consegnandola nelle mani della figlia Ernestina giunta appositamente da Mosca.

Annotazioni: Scheda biografica basata su quella compilata da Augusto Cantaluppi per il suo libro La Ringhera in Spagna, antifascisti milanesi nella guerra civile spagnola (1926-1939)