Beretta Giuseppe di Carlo e Bastianini Francesca nato a Milano il 25 novembre 1902. Falegname, comunista. Per la sua piccola statura, in famiglia e negli ambienti amicali e politici, è chiamato affettuosamente in dialetto milanese “ratin”. Come educazione scolastica completa il ciclo elementare. Malgrado la taglia minuscola, viene comunque dichiarato abile alla visita di leva, anche se non sappiamo se e quando abbia assolto il servizio militare. Il 14 marzo del 1926 è condannato dalla Pretura di Milano a un mese di reclusione per futili motivi, pena che sconta. Negli anni successivi è certo che svolge un’intensa attività a favore del Partito Comunista d’Italia a cui risulta iscritto. Sicuramente si rende conto del fatto che questa sua militanza lo espone a possibili attenzioni poliziesche, alimentate queste ultime anche dall’introduzione nel febbraio del 1926 delle cosiddette “leggi fascistissime”. Non si sa se espatria già nel 1929 o nel 1930, legalmente o meno, ma nel marzo del 1930 si trova a Vienna e in seguito a Bucarest. Si reca poi in Unione Sovietica, a Mosca dove, frequenta la Scuola Leninista. Nel frattempo, e precisamente il 22 agosto del 1930, “Ratin” è denunciato al Tribunale Speciale per i reati di cui all’art. 4 della legge 25 febbraio 1926. La sua posizione processuale, per la sua condizione di latitanza, è stralciata e parzialmente estinta, grazie al provvedimento di amnistia per il decennale della marcia su Roma. Il 18 aprile del 1934 la Questura di Milano ottiene la pubblicazione sul “Bollettino delle Ricerche – Supplemento dei Sovversivi”, con il n.0540, riguardante il pericoloso Giuseppe Beretta con l’usuale provvedimento di arresto. Nel 1935 arriva in Francia dall’Unione Sovietica, a Parigi, dove si mette a disposizione del centro estero del PCd’I., svolgendo compiti operativi e di propaganda politica. Per questa sua attività è arrestato dalla polizia francese, che gli commina un provvedimento di espulsione. Non ottempera a questa ingiunzione e rimane clandestino in territorio francese. Allo scoppio della guerra civile spagnola si attiva con lo scopo di raggiungere il territorio iberico per combattere in difesa della Repubblica sotto attacco dei generali faziosi. Il 28 agosto del 1936 si trova a Marsiglia e con l’intervento di Amos Salvadori, che organizza il trasferimento in Spagna dei volontari antifranchisti italiani, unitamente ad altri quindici compatrioti, tra i quali il milanese Emilio Croce, supera la frontiera franco-spagnola e si porta a Madrid, dove entra a far parte della appena costituita Centuria “Gastone Sozzi”, aggregata alla Colonna “Libertad” organizzata dal PSUC (Partito Socialista Unificato della Catalogna) . Spesso dice ai compagni: “Aiutiamo i compagni spagnoli a liberarsi del fascismo, che poi loro ci aiuteranno a liberare l’Italia da Mussolini”. L’incarico che gli è assegnato è quello di portaordini al servizio del Comandante Angelo Antonini e del Commissario politico Francesco Leone. Il nome di battaglia, che si è scelto per l’avventura spagnola, è quello di” Giuseppe Barbetta”. Non si sa quando abbia il battesimo del fuoco, cioè se sia presente a Pelahustàn. Sicuramente partecipa alla battaglia di Chapinerìa del 18 ottobre del 1936, poiché in questa occasione cade combattendo. I suoi resti, come d’uso all’epoca per i caduti combattenti internazionali antifranchisti, vengono inumati nella zona dei caduti internazionali del cimitero madrileno di Fuencarral. Grazie all'intermediazione di Giuseppe Marchetti, nel dopoguerra segretario AICVAS, la madre del "Ratin" Francesca Bastianini ha ottenuto la reversibilità della pensione di guerra riconosciuta agli ascendenti.