Silveri Antonio di Giuseppe e Di Nicola Giuseppa, nato il 4 gennaio 1907 a Montevidone (Ascoli Piceno). Pasticcere, socialista. Orfano di padre, la madre muore dandolo alla luce. Vive con una zia alla quale si affeziona profondamente. Cresce simpatizzando per gli ideali socialisti, mentre intraprende il mestiere di pasticcere. È decisamente avverso al fascismo e lo manifesta palesemente. Nel 1927 è condannato a cinque mesi di reclusione e a Lire 500 di multa per offese al capo del governo. Scontata la pena, il 18 giugno 1927, è assegnato a due anni di confino da scontarsi all' isola di Ustica. Terminato il periodo di confino, emigra clandestinamente in Jugoslavia nel 1934: qui è arrestato nell'aprile 1934 per mancanza di documenti e successivamente espulso. In Italia viene inserito nel Bollettino delle Ricerche e nella Rubrica di Frontiera per il provvedimento di fermo. Si rifugia in Francia, ma e sorpreso dalla polizia insieme al cugino Duilio. Sprovvisti di documenti i due sono espulsi, ma Antonio resta clandestinamente. A Parigi frequenta la casa di Mario Angeloni. E’ elemento politico attivo, iscritto al Partito socialista, svolge intensa propaganda ed è fattorino del giornale il '"Il milite rosso". Nel settembre del 1936 è in Spagna arruolato nella quarta compagnia del Brigata Garibaldi agli ordini di Silvio Bianchi, col grado di tenente. Suo pseudonimo di battaglia è "Tapioca": combatte a Casa Campo e nella Città universitaria, poi si ammala, ricoverato in ospedale ne esce con venti giorni di convalescenza ma raggiunge subito il Battaglione Garibaldi e partecipa alla battaglia di Pozuelo, Las Rozas nell’ambito della difesa di Madrid. Per il suo eroismo viene proposto alla promozione a sottotenente. Il 14 gennaio 1937 viene ferito mortalmente al ventre a Majadahonda. Ricoverato muore in un ospedale di Madrid il 29 gennaio. E’ seppellito nel cimitero delle Brigate Internazionali di Fuencarral (Madrid). Il “Nuovo Avanti” di Parigi, il 6 febbraio del 1937 gli dedica un necrologio: “Il compagno Sergio Bianchi comandante della Compagnia De Rosa, ci telegrafa in data 30 gennaio da Madrid: “Dopo molte sofferenze compagno Sergio spento oggi. Compagnia De Rosa lo vendicherà assieme altri gloriosi caduti”. Povero Sergio! Già il compagno Nenni, telefonandoci la scorsa settimana, ci aveva informati che la sua sorte era, ormai, segnata. Non avrebbe potuto sopravvivere alle ferite al ventre, riportate in combattimento, ed alla complicazione intestinale. Era forse questione di poche ore. Ma noi, come tutti i compagni, ci eravamo attaccati al tenue filo che separa la realtà dal miracolo e che comanda al cuore di sperare disperatamente fino al momento in cui l’inesorabilità della morte non venga ad annunziarsi. Si chiamava Antonio Silveri, ma nella nostra famiglia era conosciuto come Sergio o come Tapioca. Sergio (Sergio Vazilow) era il nome che aveva assunto per potere ricevere la poca corrispondenza che gli giungeva dall’Italia: quella di una zia che egli adorava come una madre, perché alla mamma – morta mentre lo partoriva – si era sostituita. “Tapioca”, invece, era il nome che gli avevamo affibbiato noi, perché, sotto alcuni aspetti, (oh non quello del ladruncolo!) ricordava una caratteristica figura di orfano della strada che Umberto Notari - prima che diventasse un “maiale nero” – aveva magnificamente ambientato in uno dei suoi romanzi. Aveva 28 anni e ne aveva passato 8 tra il confino, il carcere ed il servizio militare. Era ancora un adolescente quando fu arrestato, la prima volta, nei pressi di Roma, e rinviato al giudizio del Tribunale Speciale dal quale venne condannato come comunista. Poiché, quando giunse in Francia, circa tre anni addietro, si iscrisse subito al nostro Partito, volle spiegarci come era andata la sua prima avventura giudiziaria, perché non si credesse che avesse cambiate idee: “Io non stato mai comunista. Lavoravo come garzone pasticciere nei dintorni di Roma e frequentavo dei giovani antifascisti. Un giorno la polizia ci sorprese a distribuire dei volantini. Fummo arrestati e denunciati al Tribunale Speciale, il quale disse che eravamo tutti comunisti.” Nella sua ingenua semplicità mostrava un carattere. “Si può essere degnamente socialisti o comunisti; ma cambiare no.”… E poi aveva il posto da fattorino del nostro giornale a 50 franchi la settimana. Guai se qualcuno avesse potuto pensare che se lo era procurato per un calcolo qualunque. Lui che così giovane aveva sofferto tanta fame, e provata tanta galera! Quando scoppiò la guerra civile in Spagna, pianse perché non lo lasciammo partire tra i primi. Non sentì che il richiamo alla disciplina di Partito; ma un giorno venne da noi per reclamare il diritto alle ferie. Secondo lui anche la disciplina del Partito doveva avere delle vacanze. Ne avrebbe approfittato per varcare i Pirenei. – E una volta giunto in Spagna, vorrò vedere chi avrà il coraggio di farmi ritornare alla scadenza delle ferie… - Finalmente poté partire. Fu, per lui, veramente un giorno di grande gioia. Ed il 26 settembre 1936, consegnava in busta chiusa la compagno Tonelli il suo testamento, da aprirsi, naturalmente, dopo l’annuncio della sua morte. Quella busta l’abbiamo aperta lunedì 1° febbraio, dopo avere ricevuto il telegramma del compagno Bianchi. Trascriviamo letteralmente: “Paris 26-9-36. Caro Tonelli, voglio lasciarti il mio testamento che sarebbe il seguente. Prima di tutto ti metterò l’indirizzo di mia zia: signora Cesarina Romanelli, Via Conte Verde 16, Roma, Italia. Signora Virginia Silveri, Montedinevo (Ascoli-Piceno). Quando io sarò morto ti prego di avvisare queste due donne, che sono i soli parenti che mi restano; al mondo non ho più nessuno. In quanto alla mia roba, tu potrai disporre di tutto e farne quello che credi più utile. In quanto a me non voglio assolutamente pubblicità nel giornale e non voglio neanche si metta la fotografia, per fare la rèclame a un morto che non serve più. Caro Tonelli, quando vi sarà la rivoluzione in Italia, tu mi vendicherai, è vero? Mi saluterai tutti i compagni e amici. Un abbraccio fraterno. Il tuo compagno. Sergio. Viva la libertà”. Quanta semplicità, quanta poesia e quanto eroismo in questo “testamento”! Come nelle cartoline che ci mandava frequentemente dal fronte. Ed al fronte fu veramente un eroico soldato. Dopo i primi combattimenti alla Casa de Campo ed alla Città Universitaria, Sergio si ammalò seriamente, per cui venne ricoverato in ospedale. Uscitone con venti giorni di convalescenza, volle raggiungere immediatamente il Battaglione, che si trovava allora a Pozuelo. Nei combattimenti di Pozuelo, di Las Rozas, di Madrid e di Guadalajara, seppe dare la misura del suo ardimento, della sua fede e del suo entusiasmo, tanto che era stato proposto per la promozione a sottotenente. Se è vero che sono i migliori che cadono, Sergio doveva cadere, perché egli era tra i migliori. Era forse scritto che finisse la sua breve e tormentata esistenza tragicamente. C’era in lui la figura del predestinato. Questo ragazzo che non aveva “più nessuno al mondo” non doveva restare nel mondo per molto tempo. A ventotto anni consegna le sue spoglie ad una fossa scavata nella terra di trincea. L’ultimo suo pensiero fu per zia, che era la sua mamma lontana; per i suoi compagni; per il suo Partito. E l’ultimo soffio deve essere stato per ripetere le tre parole che suggellano il suo testamento: Viva la Libertà. La libertà per la quale è vissuto e per la quale è caduto. “Tapioca” questa non è “pubblicità al morto” che non serve più; questo è l’omaggio di tutti i tuoi compagni al tuo esempio che sopravvive.

Annotazioni: Scheda biografica basata su quella redatta da Roberto Lucioli per il volume Gli antifascisti marchigiani nella guerra di Spagna (1936-1939) [Ancona]: ANPI Marche/Istituto regionale per la storia del movimento di liberazione nelle Marche, stampa 1992 sulla base delle seguenti fonti: Comune di Montevidone; A. Lopez. Antifascisti italiani caduti nella guerra di Spagna 1936-39 Aicvas, Roma 1982, p.19; A. Lopez, Il Battaglione Garibaldi Aicvas. Roma 1990, p.50; G. Calandrone, La Spagna brucia Editori Riuniti. Roma 1974, pp. 84,432; A. Dal Ponte L.Zocchi, Perché andammo in Spagna, ANPPIA, Roma 1966, p.139; T. Noce, Garibaldini in Ispagna Madrid 1937, 185,195. Si ringrazia Fabrizio Mancini per la copia del Nuovo Avanti, 31 gennaio 1937.