Primi Enrico di Giovanni e Petteri Carolina, nato il 19 dicembre 1903 a Verona. Rappresentante di commercio. Il padre è il titolare dell’albergo “Lombardia” in Corso Vittorio Emanuele a Verona, lavoro che assicura ai sei figli un’esistenza agiata. All'età di sei anni, nel 1909, si trasferisce a Bergamo presso lo zio Giovanni Primi e la moglie di questi, Maria Gallizioli. Enrico mostra propensione agli studi, ma deve fermarsi alla prime classi superiori perché alla morte del padre, deve trovarsi un lavoro per provvedere alla sorella. Per questa situazione familiare viene esentato dallo svolgere il servizio militare. Nel 1924 si trasferisce a Milano dove lavora come commesso viaggiatore per conto dello zio, girando tutta l’Italia. Al lavoro unisce la passione per il calcio, giocando nella squadra “Ardens” di Bergamo, dove abita la sorella. Alla morte dello zio, avvenuta prima del 1930, a Bergamo viene assunto presso la 'Fabbrica Filigrana Metalli' di proprietà di Giovanni Andrea Moroni. Questi lo invia in Spagna come rappresentante e giunge a Barcellona il 28 ottobre 1930 con un passaporto rilasciato 5 giorni prima dalla questura di Bergamo. La crisi del 1929 porta al fallimento l’azienda per cui lavorava e il titolare Moroni si trasferisce in Africa Orientale Italiana. Primi emigra dall'Italia nel 1931, con regolare passaporto, stabilendosi a Barcellona, dove trova impiego come autista-meccanico. Prende contatto con i sindacati anarchici e nel luglio 1936, allo scoppio della guerra civile, parte con una colonna anarchica diretta al fronte aragonese. Nel dicembre 1936 il suo nome viene inserito nel Bollettino delle Ricerche e nella Rubrica di Frontiera con l'indicazione di fermarlo nel caso di rientro in Italia. Combatte anche nel fallito sbarco all'isola di Maiorca e sull'Ebro. Ferito a Farlete nell'aprile 1937 viene catturato dai franchisti e mandato in un campo di concentramento. Fuggito dopo circa un anno, passa in Francia dove è internato nel campo di Argeles dove aderisce al gruppo anarchico "Libertà o Morte" e poi in quello di Gurs. Nel giugno del 1940 si porta in Belgio giungendo a Bruxelles, dove ottiene dal consolato italiano di Bruxelles un foglio di via per il rimpatrio. Arrestato il 25 giugno al Brennero viene tradotto a Verona. Deferito alla Commissione di Controllo è assegnato a quattro anni di confino e raggiunge Ventotene. Liberato dopo il 25 luglio 1943, rientra a Verona e da lì a Bergamo dove abita la sorella. Ricercato ancora dalla polizia si rifugia a Lugano in Svizzera da uno zio dove rimane fino alla Liberazione. Le sue condizioni di salute sono molto precarie, ma non avendo una pensione, si sforza comunque di far qualcosa. In quel periodo conosce Maria Bonvini che sposa. La sua salute continua però a declinare, con malattie sempre più gravi. Muore a Bergamo nel settembre del 1958.