Martis Cornelio di Edoardo e Mara Beppina, nato il 12 settembre 1905 a Guspini (Cagliari). Esperto minerario, aderente a Giustizia e Libertà. Abbandonati gli studi ginnasiali e chiamato a svolgere il servizio militare, il 26 maggio 1925 è assegnato alla 1. Batteria cannoni del 7. Reggimento Artiglieria Pesante Campale quale puntatore scelto. Il 30 settembre viene promosso caporale. Poi per problemi di salute viene mandato in licenza di convalescenza per un anno. Il 29 settembre 1926 gli viene concesso il congedo illimitato ed espatria in Tunisia con regolare passaporto stabilendosi al numero 38 di Rue de Patras. Lì si lega ad esponenti del Partito Socialista francese e svolge attiva propaganda antifascista, partecipando alle riunioni della camera del Lavoro ed alle commemorazioni di Giacomo Matteotti e di Jean Jaurès e dichiarando in pubblico che vuole naturalizzarsi francese per non rientrare in Italia. In un altro episodio viene riferito “all’arrivo in porto del piroscafo “Arborea” sul quale facevano ritorno squadre di giovani provenienti dalle colonie estive, Cornelio Martis prende a commentare sfavorevolmente ad alta voce l’iniziativa benefica e patriottica del Governo, dicendo che anziché di organizzare i campeggi, sarebbe stato più umano che in Italia si venisse in aiuto alla miseria”. Per questi atteggiamenti antifascisti viene inserito nella Rubrica di Frontiera per il provvedimento di fermo e perquisizione. Nel 1928 scrive ai suoi conoscenti di voler assumere la nazionalità francese e di non voler più rientrare in patria Il 14 settembre 1930 si porta a Marsiglia e si reca a Chiele (Heure), a far pratica di lavaggio metalli presso la ditta specializzata “Société Minérais et Métaux”. Dopo un mese di addestramento parte per la Turchia a Baila-Kar-Din in Anatolia, dove lavora in un impianto di estrazione minerali appartenente alla stessa società. A causa della crisi economica della società mineraria ed alla chiusura degli stabilimenti è costretto a far ritorno a Tunisi. Di rientro in Italia Martis viene fermato a Domodossola e su richiesta del Prefetto tradotto a Cagliari e deferito alla Commissione Provinciale per l’assegnazione al confino. La Commissione giudica non esservi gli estremi per il provvedimento di confino e dispone la sola diffida. Gli viene restituito il passaporto e quindi rientra a Tunisi. Dal’ si sposta in Algeria per lavorare nella stessa ditta di estrazioni minerarie. Successivamente torna a Cagliari il 3 ottobre 1934 dai suoi familiari, lavorando con il fratello come ingegnere, conducendo vita ritirata e senza apparentemente interessarsi di politica. Il 28 febbraio 1936 chiede il rilascio del passaporto per concludere un contratto di lavoro in Indocina con una ditta francese, che gli viene negato su indicazione del Contro Spionaggio, perché ritenuto pericoloso in campo informativo. Dopo due tentativi di ricorso conclusi con esito negativo, avendo subito l’olio di ricino da parte dei fascisti locali, e dopo un tentativo di salire su una nave inglese, Martis fugge clandestinamente rubando il 19 giugno 1937 la barca da pesca a vela “Dio ti aiuti”, messa a secco nella spiaggia solitaria di “La Plaia”, certamente con la complicità di tre persone non identificate. Raggiunta la costa africana e approdato nei pressi di Capo Zebid viene trainato da una barca a motore a Tunisi dove giunge il 21 giugno 1937. Ottiene lo status di rifugiato politico e gli viene rilasciato il passaporto dal console francese con cui raggiunge Parigi stabilendosi in Boulevard Voltaire nell’agosto 1937. Preso contatto con il gruppo di “Giustizia e Libertà” si unisce al gruppo di sardi che Emilio Lussu vuole inviare in Spagna a combattere per la Repubblica spagnola. Il 28 ottobre 1937 parte assieme all'ingegnere Felice Giacobbe (Dino) ed altri due volontari di Giustizia e Libertà. All’arrivo a Figueras, prima tappa in Spagna, il gruppo ha un’accesa discussione con le autorità militari perché giunti in ritardo per la distribuzione delle sigarette. Per le loro proteste vengono accusato di “disgregazione e sabotaggio”, ammanettati ed imprigionati fino a che alcuni giorni dopo un ufficiale italiano delle Brigate da loro l’autorizzazione per proseguire per Albacete dopo aver visto la lettera di garanzia e raccomandazione che Giacobbe aveva ricevuto da Ruggero Grieco. L’incidente gli vale comunque una segnalazione al comando delle Brigate internazionali come “individui sospetti”. Ad Albacete si separano e mentre Giacobbe, raggiunge la sede dell’artiglieria Internazionale ad Almansa, Martis arruolato nella Brigata Garibaldi, è avviato a Quintanar de la Republica dove ha sede il centro di addestramento della Brigata, Qui avvengono altri incidenti con le autorità. Una volta Martis prende le difese di un volontario ingiustamente punito e un’altra volta vede che si raccolgono soldi per il giornale comunista stampato a Parigi “La voce degli Italiani” e prende quindi l’iniziativa di raccogliere fondi per il settimanale “Giustizia e Libertà”, ma i soldi gli vengono sequestrati malgrado le sue vibrate proteste. Viene quindi inviato in Andalusia, poi in Estremadura ed infine a Caspe. Gli avvenimenti successivi non sono stati chiariti. Sembra che Martis, giunto a Caspe il 18 dicembre, venga arrestato in trincea il 21 dicembre 1937 alle 8 del mattino. Accusato di spionaggio per l’OVRA e di essere un ufficiale della milizia fascista, viene fucilato a mezzanotte, malgrado protesti la sua innocenza e chieda che vengano chieste a Lussu e Cianca informazioni su di lui. Tale data è quella registrata dal Comune di Guspini. La notizia della condanna è riportata nell’ordine del giorno successivo e viene fatta circolare la voce, poco credibile, che su di lui sono state trovate lettere compromettenti di intesa col nemico. Secondo invece quanto comunicato dal Ministero degli Esteri a quello dell’Interno il 2 novembre 1938, ipotesi più verosimile, la morte di Martis sarebbe avvenuta sempre a Caspe, ma l’anno successivo nel marzo 1938, nel corso della disastrosa ritirata d’Aragona, ufficialmente perché sorpreso a fare segnalazioni al nemico, segnalazione poco credibile visto il limpido passato antifascista di Martis. Il comandante della Brigata Garibaldi Arturo Zanoni, negherà in seguito la conoscenza dell’episodio ed una sua eventuale autorizzazione all’esecuzione. La notizia della morte di Martis, sempre secondo la polizia italiana, che raccoglie le voci circolanti in provincia di Cagliari, è comunicata anche dalla radio di Barcellona. Secondo le stesse fonti il Servizio Informazioni Militare repubblicano lo avrebbe smascherato con una trappola, facendogli recapitare una richiesta di collaborazione a favore dei franchisti, dietro un compenso in denaro che il Martis avrebbe incautamente accettato. Anche questa versione è poco credibile. La fucilazione di Martis è comunque confermata da Alberto Cardinali che diserta dalla Brigata Garibaldi per passare al Corpo Truppe Volontarie. Secondo il volontario garibaldino Domenico Golosio, interrogato l’11 aprile 1943, non vi sarebbe stata una formale fucilazione, ma Martis sarebbe stato ucciso su iniziativa di un commissario politico del battaglione, certo Pasquale, Biagio o Mario Bonzano o Bolzano, un italiano proveniente dal Sud America, col grado di maggiore. La professione di tale personaggio, piuttosto alto, corporatura robusta, capelli grigi, di circa 45 anni, sarebbe stata quella di muratore. Non è stato quindi chiarito per Martis né la data della morte, né se sia stato fucilato da un plotone d’esecuzione oppure giustiziato da una singola persona. In mancanza di una documentazione ufficiale della morte le ricerche di Martis sono proseguite fino al 1943.

Annotazioni: Le drammatiche circostanze della sua morte sono confermate da Pavanin (vedi Rgaspi F 545. op 6 D 499) che lo definisce un agente del nemico che venne fucilato in Spagna nel 1938 dopo essere stato sorpreso a fare segnalazioni al nemico presso Caspe. Scheda biografica basata su notizie tratte dal libro di Lorenzo Di Biase ANTIFASCISTI SARDI. STORIE DI UOMINI CONTRO IL FASCISMO, Editore ANPPIA, Roma, 2023