Di Michele Annunzio (detto Nunzio) di Giacomo e Mercantili Rosa, nato il 25 marzo 1903 a Forcella (Teramo) in Val Vomano ad una decina di chilometri dal capoluogo. Contadino, minatore e fabbro comunista. Nato in una famiglia modesta con otto figli (4 maschi e 4 femmine), il padre mezzadro, pensando di migliorare le condizioni della famiglia, si trasferisce con la famiglia a Rapino (Chieti) in Val Tordino, vicino al capoluogo. Malgrado il nuovo proprietario terriero, la vita continua ad essere durissima per la mancanza di strumenti agricoli meccanici e l’iniqua distribuzione del raccolto. Nunzio viene impiegato come pastorello, senza poter frequentare la scuola. A diciassette anni, ancora ragazzo, si entusiasma ai comizi socialisti, che promettono la rivoluzione e prende parte ai cortei delle organizzazioni sindacali contadine; vengono poi gli scontri con il nascente fascismo. A 20 anni svolge il servizio militare a Caserta. Congedato non se la sente di ritornare dalla famiglia e decide di emigrare), con il compaesano Giovanni Di Francesco in Francia a Villerupt (Meurthe-et-Moselle. In Francia lavora come fabbro, terrazziere, manovale e bracciante. Su insistenza dei compaesani inizia lavorare in miniera, dove si guadagna in po’ di più, lavorando sedici ore al giorno. Conosce Evelina, una ragazza vedova di Casalmaggiore (Cremona), Evelina Rossi Del Varo, emigrata con il padre, e la sposa. Avranno una figlia, Jone. Si iscrive al sindacato e aderisce al Partito Comunista d’Italia. Partecipa alle lotte minerarie, ottenendo miglioramenti salariali che gli consentono di mandare un aiuto alla madre ed a fratelli a Rapino. Evelina è sempre accanto a lui nelle lotte. Una sera recatosi a Parigi con la moglie, partecipa ad una assemblea del Partito Comunista dove Giuseppe Di Vittorio e Palmiro Togliatti difendono la causa della Repubblica spagnola in pericolo, invocando l’aiuto internazionale. Matura allora la decisione di partire volontario lasciando la moglie e la tranquillità economica, dicendo: ”Vado volontario in Spagna perché se vincono i falangisti il popola spagnolo dovrà vivere come ho vissuto a Forcella e Rapino e nelle miniere”. A queste parole la moglie lo interrompe dicendo: “E io ti dissi che la moglie deve seguire il marito e per questo venni con te.” Infatti in assenza del marito Evelina si impegnerà in Francia nelle organizzazioni di Partito e nel Soccorso Rosso, divenendo tra l’altro madrina di due volontari garibaldini, Bruno Passeri di Casalmaggiore e Vittorio Manini di Bologna. In una intervista concessa negli anni ’70 Di Michele dichiara: “Ci andai proprio con piena coscienza, sentivo di compiere un preciso dovere di minatore, di analfabeta, costretto a lasciare l’Italia dominata dai ricchi e dai fascisti che tenevano tutto per loro e per essere a disposizione del mio partito. Dopo tanti sacrifici avevo raggiunto un livello di vita che sembrava un sogno, perché ero quasi un benestante; il mio salario a quei tempi era di 800 franchi al mese e ciò assicurava tranquillità alla mia famiglia. Ma il pensiero che i lavoratori spagnoli vivevano in miseria e la guerra e che lottavano per migliorare nella libertà la loro vita, non mi fece esitare.” Di Michele arriva in Spagna con gli ultimi contingenti di volontari, il 20 giugno 1938 insieme ad un folto gruppo di italiani, ungheresi, jugoslavi e polacchi. Entra a far parte della Brigata Garibaldi, partecipando all’ultima offensiva repubblicana sull’Ebro. Nella sua testimonianza afferma che: “ Eravamo a combattere sulla Sierrra di Pandols (Ebro) e un gruppo di compagni ben deciso di non cadere in mano ai fascisti, fossimo qualvolta rimasti feriti gravi, e che guarire fosse impossibile, si era d’accordo di finirsi tra noi, prendendoci tutti i documenti che si aveva in tasca. Così è capitato al nostro caro compagno Oreste [Marrucci], impiegato prima di partire per la Spagna, all’Unione degli Italiani a Parigi. Essendo lui ferito gravemente e nell’impossibilità di guarigione, dietro alla sua volontà fu così finito.” Viene ferito il 9 settembre 1938, mentre strisciava per lanciare delle bombe a mano. Viene salvato da uno sconosciuto compagno che riesce a trascinarlo in salvo dietro un muretto. Sarà ricoverato in ospedale a Terragona e Barcellona. Al ritiro dei volontari internazionali, deciso dal governo repubblicano nel settembre 1938, è fatto rientrare in Francia a novembre 1938 con un convoglio sanitario e a Lilla si impegna insieme alla moglie a favore dei reduci della guerra di Spagna. In seguito all’occupazione nazista sapendo di essere ricercato, si arruola con una squadra di lavoratori francesi e viene inviato in Germania, dove partecipa ad alcune azioni di sabotaggio. La moglie Evelina lo segue in Germania prendendo contatto con le donne russe deportate dai nazisti. Arrestata sarà liberata per un errore dopo pochi giorni di carcere. Di Michele rientra in Italia a Casalmaggiore (Cremona) con la moglie alla fine della guerra. Con la guerra ha perso tutto e viene ospitato dai suoceri. In seguito riesce a ritrovare i genitori e gli altri fratelli. In una intervista del 1973 alla rivista Panorama, alla domanda di raccontare qualcosa sulla sua partecipazione come volontario alla guerra di Spagna, prima esita, poi risponde con semplicità: “Ho fatto il mio dovere”.