Antonio Cossu (nome di battaglia Santamaria) di Nicolò e Satta Giuseppina, originari di Tempio Pausania, nato il 3 ottobre 1894 a La Maddalena (Sassari). Scalpellino e manovale. Secondo la Prefettura di Sassari Cossu, molto giovane, è frate cappuccino a Sassari. Espatria clandestinamente una prima volta nel 1933 con 4 amici (Salvatore Pintus figlio di Gavino, Pietro Demontis figlio di Angelo, Francesco Ledilesu (?) figlio di Vincenzo, Antonio Raimondo Porcu figlio di Giovanni e Marco Petri figlio di Giovanni), andando in Corsica con una barca rubata al pescatore Giuseppe Ogno. Poco dopo rientra in Sardegna a Santa Teresa Gallura dove viene arrestato. Nel settembre 1937 scappa nuovamente con due amici (Giuseppe Fastame figlio di Giovanni e Sabato Ferraro figlio di Baldassarre) di cui uno proprietario della barca utilizzata nella fuga. Dalla Corsica giungono in Francia a Parigi. Qui Cossu conosce, secondo quanto riferirà più tardi alla polizia, dei connazionali che lo convincono ad andare in Spagna. Si recano a Perpignano per poi attraversare clandestinamente i Pirenei per raggiungere il centro di arruolamento delle Brigate Internazionali di Albacete. Viene arruolato nella Brigata Garibaldi come soldato infermiere. Dal dicembre del 1937 è iscritto al Bollettino delle ricerche e alla Rubrica di frontiera. Durante la guerra civile è ferito a Fuentes del Ebro (Zaragoza, Aragona) nell’ottobre 1937. Torna in Francia nell’agosto 1938 con un convoglio sanitario. Nel novembre 1941 si consegna alla frontiera di Mentone dichiarando alle autorità di frontiera di aver partecipato dalla guerra civile spagnola e di aver passato gli ultimi due anni presso il Convento di Saint Etienne a Parigi. Viene quindi arrestato e deferito alla Commissione Provinciale di Sassari che lo assegna 2 anni di confino a Ventotene (Latina), dove viene tradotto il 18 marzo 1942. E’ dichiarato genericamente antifascista e sovversivo ma la stessa Prefettura riporta che non aveva dato particolari evidenze di opposizione politica del regime. «Prima del suo espatrio clandestino –dicono di lui dalla Prefettura di Sassari nel carteggio col Ministero dell’interno- non aveva mai dato luogo a sospetti in linea politica, pur avendo mantenuto sempre un contegno indifferente verso il regime». Il linguaggio utilizzato dalla polizia politica e dalla Prefettura di Sassari sul suo conto fa percepire in maniera inequivocabile quanto l'accusa fondamentale nei suoi confronti fosse dettata da omofobia e generico stigma morale, non risultando particolare attività eversiva, appartenenza a partiti o sindacati ma soltanto reati esclusivamente connessi ai suoi espatri. Nell’estate 1943, dopo la caduta del fascismo e la chiusura dell’isola di Ventotene come luogo di confino, ritorna a La Maddalena dove risiede la famiglia, molto stimata e distinta sull’isola. Lavora come operatore di banchina nel carico e scarico di materiali dei bastimenti. Nel dopoguerra a La Maddalena rimane un personaggio un po' ai margini della Comunità, una persona che, come spesso capitava, pagava la sua libertà con persecuzioni e marginalizzazione ma si ricorda anche come scalpellino, manovale, pescatore e grande lavoratore. Il nome di battaglia che ebbe in Spagna “Santamaria” può derivare da questioni religiose ma anche dalla assidua frequentazione dell’isola di Santa Maria, nell’arcipelago di La Maddalena, di cui divenne proprietaria una sorella con cui Antonio mantenne sempre un forte legame. Santamaria era anche il soprannome del fratello di Antonio, pure lui scalpellino.