Rabitti Vindice di Teodorico e Torri Marta, nato il 23 aprile 1902 a Bologna. Impiegato, anarchico. Il padre è militante della Camera del lavoro di Porta Lame, aderente all’Unione Sindacale Italiana e la madre coltiva idee libertarie. Le sorelle si chiamano Luce, Athe e Vera. Frequenta la scuola fino alla licenza elementare. Già nel luglio 1920 è condannato per “oltraggio ad agenti della forza pubblica” e subito la Prefettura di Bologna invia alla Direzione Generale di Polizia il primo profilo biografico di un fascicolo che diventerà negli anni molto nutrito. Ardito del popolo al sorgere del fascismo, partecipa a vari scontri con gli squadristi e viene arrestato il 7 agosto 1921. Scarcerato il 27 febbraio 1922, senza essere stato processato, il 26 maggio 1922 in via S. Giacomo viene affrontato dal fascista Clemente Capizzi, con il quale scambia alcuni colpi di rivoltella, ma senza conseguenze per entrambi. Arrestato per lo scontro a fuoco, il 2 luglio 1922 è condannato a un anno e 3 mesi per “partecipazione a corpo armato”. Nel luglio 1923 è giudicato in contumacia, e condannato a quasi un anno in seguito ad un conflitto armato con una squadra fascista. È protagonista, e spesso vittima, di scontri con i fascisti bolognesi: in uno di questi è colpito da arma da fuoco al torace e operato d’urgenza all’Ospedale Sant’Orsola. Ripara, per un periodo, da uno zio a Firenze dove conosce Camillo Berneri ed Enzo Fantozzi. Nel 1923 espatria per breve tempo ufficialmente per andare a lavorare nelle miniere in Belgio, ma si ferma a Parigi. Al ritorno in Italia, viene arrestato e bastonato per vari giorni nella caserma “Mussolini” di via Broccaindosso. E’ salvato dall’intervento del ras Arpinati, ex anarchico, che lo fa ricoverare in ospedale dove rimane degente per un paio di mesi. Appena dimesso espatria in Belgio a Montigny e poi in Francia dove nell’autunno del 1926 risponde, con altri anarchici italiani, all’appello del catalanista d’azione Francesc Macià che cerca, senza successo, di realizzare attraverso i Pirenei una spedizione contro la dittatura del generale Miguel Primo De Rivera. Riesce per poco a sfuggire all’arresto del centinaio di volontari armati, di cui non pochi italiani, e fa ritorno a Parigi. Si arruola allora nella Legione garibaldina, un'organizzazione paramilitare costituita da Ricciotti Garibaldi, in realtà provocatore dell’OVRA, sciolta un anno dopo. Nel 1929 è arrestato dalla polizia francese e accusato di fare parte di un'organizzazione anarchica che preparava attentati dinamitardi in Italia. Nel dicembre 1929 è arrestato nella città francese di Chambery, non lontana da Ginevra, dove ha trovato lavoro nelle ferrovie: è sospettato di far parte del complotto per attentare alla Delegazione fascista italiana a Ginevra. Nel 1931 viene iscritto nel Bollettino delle Ricerche e nella Rubrica di Frontiera come potenziale attentatore. In questo periodo prende contatti anche con l’ingegnere repubblicano Giobbe Giopp, per preparare azioni dirette contro il regime. Nel maggio 1932 è arrestato per “ricettazione”, con altri anarchici, in seguito al furto di 38 kg. di esplosivo, realizzato dall’anarchico friulano Ludovico Vergendo nelle miniere di Mongenévre. È condannato a due anni di prigione, ma esce nell’aprile del 1933 e vive a Parigi vari mesi, malgrado la diffida a restare in Francia, lavorando come pittore. Nel 1932 si porta in Algeria dove rimane sino al luglio 1936 quando è tra i primi italiani ad accorrere in Spagna il 23 luglio 1936. In un interrogatorio dichiarerà:” Alla fine del luglio 1936, mi recai in Spagna […]. Imbarcammo in Algeri e sbarcammo a Port- Vendres (Pirenei Orientali […].Da Port-Vendres fummo avviati a Perpignano, ove noi italiani ci recammo al comitato anarchico per avere i mezzi e i documenti per passare la frontiera. […] Montammo pure noi su detto mezzo [camion] e con esso guadagnammo il territorio spagnolo al Perthus. Ivi fummo fermati dai doganieri repubblicani che informarono del nostro arrivo le loro autorità, le quali ci fecero rilevare a mezzo di automobili e condurre a Figueras. Di qui, in treno, il giorno successivo, partimmo per Barcellona. Nel convoglio ferroviario c’erano molti altri sovversivi, fra i quali conobbi Fantozzi Enzo di Firenze, il quale mi presentò ad Angeloni Mario che fu poi mio comandante di reparto in guerra.” E’ tra gli organizzatori della Sezione Italiana di Carlo Rosselli a Camillo Berneri, aggregata alla Colonna Ascaso della CNT-FAI, della quale diviene commissario politico. Combatte nelle battaglie di Monte Pelato, Huesca, Almudevar e Carrascal. Dal fronte scrive di poter essere finalmente sè stesso, «di vivere il sogno», la sua «chimera»; «il pugno ai reni, le vele ai venti», continua, «affonderò la mia paranza ardita, è tanto bello navigar così». La madre, pochi giorni dopo, risponde: «Sono in trepidazione, ma nello stesso tempo sono contenta nelle leggere la tua lettera dove traspare la tua felicità della vita che ora fai. […] Ora sono più tranquilla e fiera di te augurandoti col mio amore che ho per te, di essere preservato da ogni male tu e anche i tuoi amici e che tutto finisca bene». Rabitti è tra i cinque firmatari, a nome del Comitato del Fronte, del comunicato del 30 ottobre 1936 che rifiuta il decreto sulla militarizzazione delle milizie emanato dalla Generalitat della Catalogna. Dopo i dissidi tra Rosselli e gli anarchici che lo accusano di mancanza di esperienza militare che è costata numerosi caduti, alle dimissioni di Rosselli assume il comando della Sezione Italiana. Inizia anche una serie di scontri personali e politici: è due volte accusato di sabotaggio da parte di Agostino Casati “Raimondi”, ma l’accusa è respinta da Libero Battistelli, il comandante responsabile del settore dove opera Rabitti. Probabilmente per sfuggire alle tensioni interne della Sezione e a una relazione conflittuale con Bifolchi, chiede e ottiene, un’autorizzazione a trasferirsi a Barcellona a disposizione della CNT-FAI. Qui collabora, stando agli appunti autobiografici, con organi militari della Generalitat mentre aderisce al gruppo “Pietro Gori”. Nelle giornate dei moti del maggio 1937, che contrappongono anarchici e POUM al governo autonomo catalano, si reca, con Lorenzo Giusti e altri, alla Caserma “Espartaco”, di cui è responsabile Pio Turroni, per partecipare al previsto assalto alla caserma Carlos Marx in mano ai comunisti, poi annullato. Con un passaporto svedese ottenuto dalla Lega Internazionale per i Diritti dell’Uomo, giunge in Francia nel luglio successivo, ma è arrestato in quanto a suo tempo espulso e viene detenuto per un mese a Perpignano. Ottiene comunque di poter restare in Francia e fissa la residenza a Sains, a un centinaio di km da Parigi, trovando lavoro come pittore. Ai primi di marzo del 1940 è rimpatriato dal Consolato di Parigi ed iI 7 marzo 1940 è arrestato a Bardonecchia mentre rientra in Italia. Tradotto a Bologna viene deferito alla Commissione Provinciale che lo assegna a 2 anni di confino a Ventotene. dove resta sino al 15 novembre 1941, quando viene rimesso in libertà con la condizionale, in seguito alle ripetute richieste di atti di clemenza, in particolare della famiglia. Ritorna a Bologna dove lavora nella fabbrica del cognato Ruggiero Pedrini e si astiene da esplicite attività politiche. Secondo quanto raccontato da Rabitti in una lunga intervista resa nel 1983, il 26 luglio del 1943 blocca l’attività in fabbrica per festeggiare la caduta del regime e Nel settembre 1943 partecipa, con altri, ad azioni contro i nazisti nella zona di Imola. Nel secondo dopoguerra si avvicina a posizioni socialiste e nel 1965 rientra in pieno nelle attività anarchiche venendo nominato nella Commissione di Corrispondenza della Federazione Anarchica Italiana. Muore a Bologna il 3 novembre 1984.