Leone Francesco di Antonio e Molino Caterina, nato il 13 marzo 1900 (secondo lui nel 1899, ma iscritto all’anagrafe brasiliana l’anno successivo) a Vargem Grande, Rio de Janeiro (Brasile), secondo altra fonte a San Paolo. Giornalista, comunista. I genitori sono braccianti provenienti da Asigliano Vercellese (Vercelli), emigrati in Brasile per lavorare in una tenuta intorno al 1880. La famiglia torna poi in Italia e Francesco Leone, malgrado le scarsissime risorse familiari, riesce a portare a compimento gli studi diplomandosi nel 1918 perito presso la scuola tecnica di Vercelli “Quintino Sella” e poi nella scuola professionale di Biella. Nel 1916 è già iscritto alla Gioventù del Partito Socialista, sostenendo posizioni antimilitariste con manifestazioni degli studenti, Nel 1917 è arrestato con l'accusa di "voler perseguire la mutazione violenta della costituzione dello Stato", per aver diffuso manifestini contenenti il documento “Per trasformare la guerra imperialista in guerra civile”. Dal 20 aprile del 1918 al primo marzo del 1920 presta servizio militare in aviazione. Ritornato alla politica attiva, partecipa agli scioperi e alle manifestazioni di appoggio al proletariato rivoluzionario russo ed ungherese ed è coinvolto negli scontri con i cavalleggeri. Leone si schiera immediatamente all'interno del partito socialista con l'ala ordinovista di Gramsci, grazie anche alla sua amicizia e frequentazione con Paolo Robotti. Nel 1920 si tiene lo sciopero più lungo del settore risiero, 51 giorni, e Leone sempre con Robotti è fra gli organizzatori ed agitatori, partecipando agli altri scontri del biennio rosso. Al congresso di Livorno del PSI che sancisce la scissione del Partito Comunista, Leone è incerto sulla necessità di scissioni minoritarie a sinistra nel partito socialista e non partecipa quindi alla votazione della scissione. Dopo il fatto compiuto, entra comunque nella Federazione Giovanile Comunista. Nel maggio del 1922 viene processato per frasi dette in un comizio relativo al primo maggio e poi arrestato per una sparatoria avvenuta nei pressi di Vercelli contro il treno Trieste-Bordeaux; in effetti il responsabile della sparatoria è un gruppo di anarchici, ma Leone viene tenuto in carcere per un mese. Organizzatore degli Arditi del Popolo a Vercelli, nel luglio 1922 partecipa agli scontri contro gli squadristi a Novara. Nel contempo inizia una intensa attività giornalistica, avendo fatto tesoro dell'esperienza precedente presso il giornale socialista “La risaia” con lo pseudonimo di “don Biagio bolscevico”, collabora con "Il Bolscevico", organo della Federazione comunista provinciale di Novara, usando diversi pseudonimi quali "Bicciolano Strafottente" (Bicciolano è la maschera del Carnevale di Vercelli ed anche un dolce tipico del luogo), oppure "L'occhio di Mosca nella ditta Aclastite". Condannato a 8 mesi di carcere, espatria clandestinamente in Francia, ma ritorna in Italia fruendo di un'amnistia nel 1923. Nel 1924 è a Milano lavorando come muratore insieme a Pietro Secchia e collaborando all’organo clandestino della FGCI “La voce della gioventù”. La sua casa viene però perquisita, ed essendo stato trovato materiale sovversivo, è costretto a riparare in Francia da dove è inviato in Italia nella seconda metà del 1925 con l’incarico di segretario interregionale della Lombardia e Emilia-Romagna. Nel 1926, preparato a gennaio il III Congresso del Partito a Lione, risiede a Parigi, membro dell’esecutivo dei Gruppi comunisti italiani in Francia e collaboratore de “l’Humanité”, e secondo la polizia dirige la “Riscossa” e il “Lavoratore Italiano”. Il partito lo manda in Unione Sovietica a frequentare l’Accademia militare “Tolmaciov” a Leningrado (insieme a Gastone Sozzi che morirà per le torture nel carcere di Perugia), con addestramento specifico per commissario di reggimento. Processato in Italia in contumacia con l’accusa di essere responsabile dell'uccisione di un fascista nel 1922 durante gli scontri di Novara, viene dichiarato dalla Corte d'appello di Torino, il non doversi procedere per insufficienza di prove. Nel 1927 torna in Italia su ordine del Centro Estero del Partito, per compiere lavoro illegale, ma il 27 luglio viene trovato in possesso di pacchi di copie dello "Stato Operaio", stampato a Parigi, e con bozze di un articolo che aveva intenzione di scrivere per “L’Unità" clandestina. Dopo esser stato percosso e torturato, trascorre 15 mesi a San Vittore e a Regina Coeli e il Tribunale speciale il 26 ottobre 1928 lo condanna a 7 anni e 7 mesi di reclusione per vari capi di imputazione, compresa l'appartenenza al disciolto Partito Comunista. Sconta la pena in diversi istituti di pena, tra cui Sassari, Portolongone, Parma, Alessandria, e Civitavecchia, spesso punito per comportamento contrario al regime carcerario. Finalmente nel 1933 viene raggiunto nel carcere di Civitavecchia da un provvedimento di amnistia e ritorna a Vercelli. Sfruttando la doppia nazionalità, riesce ad espatriare in Brasile ottenendo con facilità un passaporto. Lì lavora come tecnico della costruzione e poi come redattore del giornale “A mañana” organo dell’Alleanza nazionale liberatrice di Carlos Mendes. Leone partecipa nel 1935 al tentativo insurrezionale di Luis Carlos Prestes, appoggiato e progettato dal Comintern. Il tentativo viene sanguinosamente represso dal dittatore Getúlio Vargas, ma Leone riesce a riparare in Francia, dove riprende il lavoro nel Soccorso Rosso Internazionale. Scoppiata la guerra di Spagna, Leone da Parigi è inviato a Barcellona come delegato del Soccorso Rosso. Partecipa come commissario politico alla formazione della Centuria “Gastone Sozzi” presso la caserma Karl Marx di cui diviene commissario politico. La Centuria è aggregata alla Colonna “Libertad” organizzata dal PSUC (Partito Socialista Unificato della Catalogna) al comando del tenente colonnello Lopez Tienda. Combatte a Cenicinentos, Robledo de Chavela, all’Escorial, a Brunete a Chapinerìa e a Peguerinos. In seguito la Centuria è incorporata nel Battaglione Garibaldi della XII Brigata Internazionale e Leone raggiunge il grado di capitano. Nel novembre 1936 è ferito gravemente sul fronte di Madrid, ricoverato in ospedale a Barcellona e poi inviato in convalescenza a Mosca. Dall’Unione Sovietica è inviato a Parigi come redattore de "La Voce degli Italiani" e segretario dell'UPI (Unione popolare Italiana). Allo scoppio della II guerra mondiale è arrestato e finisce per due anni nei campi di Vernet d’Ariège e di Les Milles, da cui evade nel 1941, diventando uno degli organizzatori delle prime formazioni partigiane francesi. Ripreso a Tolone dalla polizia di Vichy, è consegnato a quella italiana. In attesa di giudizio quando cade il fascismo, una volta liberato diventa un dirigente della lotta partigiana col nome di battaglia “Sandrelli”. Ispettore delle Brigate d’assalto Garibaldi e, in Toscana, al comando di due compagnie della Brigata “Lanciotto”, è tra i protagonisti con Dino Saccenti della liberazione di Firenze. Poi va a Roma come vice responsabile della stampa e propaganda e nell’agosto 1945 torna a Vercelli per ricoprire la carica di segretario della Federazione, mantenendola negli anni cinquanta. Membro del comitato centrale del PCI dal 1946 al 1960, è nominato dal partito alla Consulta, poi è eletto alla Costituente e nella prima legislatura senatore di diritto. Dirige dal 1949 al 1952 “Il Contadino Piemontese”. Dopo essere stato sconfitto dal candidato democristiano nelle elezioni per il Senato del 1953 e dopo essere stato eletto alla Camera dei deputati nella terza legislatura (1958-1963), non partecipa alle elezioni del 1963. Nel 1970 dopo ventiquattro anni chiude anche la sua esperienza nel consiglio comunale di Vercelli. Uomo di vaste letture, continua a coltivare la sua passione per il giornalismo, collaborando fino al 1958 all’ “Amico del popolo”, il periodico della Federazione provinciale, che aveva fondato nel settembre 1945. Muore a Vercelli il 23 maggio 1984 e Giancarlo Pajetta tiene l'orazione funebre.