Gaio Primo di Antonio e Malacarne Amabile, nato il 17 gennaio 1908 a Lamon (Belluno). Venditore ambulante. Emigrato in Belgio, Francia, Germania e Svizzera, da dove informa saltuariamente la polizia italiana sui fuoriusciti incontrati durante i suoi movimenti. Di carattere estroso e brillante, nell’agosto del 1932 chiede l’iscrizione al Partito fascista di Lamon, poi tra settembre e dicembre dello stesso anno chiede sussidi al consolato francese di Chambery e di Bruxelles. Sovvenzionato dai servizi diplomatici, viene scoperto dagli antifascisti parigini, attirato il 20 agosto 1933 nel bosco di Vincennes e duramente bastonato. Dopo essersi trascinato sanguinante fino al consolato, viene espulso dalla Francia e passa in Svizzera con documenti falsi, dove nel settembre 1933 è arrestato a Spiez. Colpito da emottisi e ricoverato in un ospedale di Berna, ne fugge cinque giorni più tardi. Passa in Lussemburgo ed espulso ritorna a Bruxelles, dove in consolato richiede un nuovo passaporto. Tornato a Parigi chiede di essere rimpatriato, ma le autorità italiane si disinteressano di lui. Rientrato in Belgio avvia un piccolo commercio ambulante a Mouscron. Nel 1937 risulta in Spagna per pochi mesi arruolato nelle Brigate Internazionali. Tornato in Francia il 25 agosto 1937 si presenta al consolato di Parigi sostenendo di essersi recato in Spagna al solo scopo di date alle autorità italiane indicazione per poter dimostrare di non essere un antifascista. Elemento controverso, la moglie di Gaio, Jogna Amalia, lo denuncia al consolato di Francoforte per avere rapporti con i repubblicani in Spagna ed aver stracciato una effigie del Duce. Calandrone nel suo libro “La Spagna brucia” lo iscrive nella lista dei volontari della Garibaldi senza alcun sospetto. Gaio riprende allora a vagabondare per mezza Europa. Al momento del rimpatrio in Italia, viene comunque arrestato e dopo un mese di carcere, durante il quale gli viene diagnosticata la tubercolosi, viene liberato e chiede di potersi recare in Germania, dove risiedono a Nellingen la moglie ed i tre figli. Il permesso gli viene negato e di nuovo arrestato è deferito alla Commissione Provinciale per la sua partecipazione alla guerra di Spagna e condannato a cinque anni di confino da scontare alle isole Tremiti ed a Cosenza. Liberato alla caduta del fascismo e rientrato a Feltre, il 9 settembre 1943 capeggia un assalto della popolazione alla caserma dei carabinieri del paese, per impadronirsi di armi. Ricercato per questo fatto dai carabinieri, viene ferito gravemente al torace, all’addome ed alla coscia il 7 ottobre 1943 mentre tenta di sfuggire all'arresto a Feltre. Fuggito dall’ospedale si unisce ad una formazione partigiana di Feltre, ma in seguito il 5 gennaio 1945 viene giustiziato dai compagni di lotta a Cesiomaggiore (Belluno) con l’accusa di rapina.