Canevascini Elio di Agostino e Alich Olinda, nato l’11 settembre 1913 a Lugano in Canton Ticino (Svizzera). Medico, socialista. Il padre contadino di dedica alla politica ed è per molti anni punto di riferimento del socialismo cantonale, segretario della Camera del Lavoro e consigliere del Consiglio Cantonale del Ticino. Frequenta la scuola a Lugano. Il padre è severo ed esigente con l’unico maschio dei suoi 5 figli, il che porta a frequenti dissapori tra di loro. Dopo una bocciatura alla II ginnasio, decide di proseguire gli studi a Sion nel Canton Vallese. Terminati gli studi superiori si iscrive alla facoltà di Medicina a Zurigo, ma per le difficoltà della lingua decide di proseguire gli studi prima a Losanna e poi in Francia. La Parigi della metà degli anni Trenta è un ambiente stimolante, e non solo dal punto di vista scientifico: è un clima di piena effervescenza politica, nella stagione del Fronte popolare. Parigi è il centro europeo degli esuli antifascisti italiani, tra cui il gruppo Giustizia e Libertà dei fratelli Carlo e Nello Rosselli. Canevascini, già di tendenza socialista, si lascia coinvolgere nella lotta politica conoscendo i Rosselli, Pietro Nenni e Giuseppe Saragat. In particolare è legato dalla Svizzrera a Randolfo Pacciardi che così Canevascini descrive: “Era una figura straordinaria, un uomo, coerente, coraggioso e di valore e al contempo uno che non tradiva mai le proprie emozioni, freddo direi…Soprattutto molto prudente, tant’è che credo sia stato il solo tra gli antifascisti molto attivi a non essere mai stato preso con le “mani nel sacco”. Con l’avvocato Pacciardi ero in contatto già in Ticino: era il capo del servizio d’informazione antifascista. A Lugano si trovava la centrale, che lui stesso dirigeva: qui passavano tutti i messaggi e le informazioni provenienti dall’Italia e che poi venivano recapitati a Parigi, dove ci trovavamo noi. Il passaggio di queste informazioni avveniva sempre attraverso vie “speciali”: mio padre stesso si incaricava almeno una volta al mese di farle pervenire personalmente in Francia. Quasi nessuno si accorgeva dei suoi spostamenti perché partiva da Bellinzona verso le 11, consegnava il materiale che veniva dall’Italia, e ritornava puntuale per la seduta del Consiglio di Stato”. Viene però subito identificato e schedato dalla polizia italiana. A seguito dello scoppio della guerra civile spagnola, matura la scelta di partire per la Spagna. Lo scrive il 20 agosto 1936 a Piero Pellegrini, raccomandandogli di “non dire niente a nessuno e specialmente ai miei. Papà Guglielmo lo avviserò il giorno della mia partenza”. In realtà il padre saprà della sua decisione quando si trova già in Spagna. Raggiunge infatti la Spagna l’8 settembre 1936 assieme a Randolfo Pacciardi: “Al confine entrammo dalla parte francese di una casa e sbucammo da quella spagnola. Era una situazione che aveva dell’incredibile: si trattava di un’abitazione appartenente ad un anarchico e aveva la particolarità di trovarsi proprio sulla linea di frontiera per cui era divisa in due: metà si trovava sulla parte francese e l’altra metà sulla parte spagnola». Arrivarono di giorno, la situazione era tranquilla, nessun controllo in quella zona di frontiera. Oltrepassato il confine, la guerra li aspettava. «Subito conobbi gli altri anarchici diventati in seguito i miei compagni di lotta al fronte. Ci ritrovammo in un piccolo centro vicino a Figueras dove c’era una tensione intensa, un’atmosfera tragica suscitata dai racconti degli anarchici sulla conquista del paesino. Ricordo uno di loro che disse di avere ucciso il prete che dal campanile della chiesa sparava sui raduni degli anarchici. Era particolarmente scosso e concitato e non si dava pace. Fu questo il mio primo contatto con la guerra. Da lì poi prendemmo il treno per Barcellona dove incontrammo, tra gli altri, Pietro Nenni. Tra i repubblicani e socialisti non correva buon sangue: i primi propendevano per una politica di lotta incruenta (abbattere il regime fascista con azioni politiche) mentre i rappresentanti di “Giustizia e Libertà” erano convinti bisognasse difendersi con le armi». A Huesca ritrovò anche Bassanesi [Giovanni]. «Voleva ripetere lo stesso volo che fece su Milano, su Madrid o su Barcellona ma non si rendeva conto che quella stessa impresa lì non avrebbe sortito gli effetti desiderati. “O vieni a buttar bombe, gli dissero gli anarchici, ad aiutarci sul piano militare, o altrimenti lascia perdere”. E fu così che Bassanesi decise di ritornarsene in Italia. Io al momento rimasi con Pacciardi che proprio lì al fronte doveva incontrare il repubblicano italiano Carlo Rosselli per mettere le basi di una partecipazione italiana alle Brigate internazionali che si andavano creando proprio allora, a pochi giorni dall’inizio della guerra civile». Pacciardi assumerà il comando del Battaglione Garibaldi, mentre Canevascini rimasto nella Barcellona, si unisce alla Sezione Italiana di Carlo Rosselli e Camillo Berneri aggregata alla Colonna Ascaso della CNT-FAI. Per otto mesi partecipa agli scontri sul fronte aragonese come medico: “Ero ancora uno studente e avevo dimestichezza solo con le cose basilari in campo medico (suturare ferite, fermare emorragie) ma di certo non potevo operare. Mi ritrovai ad aiutare un medico, un certo dottor Ricciulli [Temistocle]”. Viene anche ferito nei combattimenti di Tardienta. Rientra a Parigi in seguito agli scontri del maggio 1937 tra gli anarchici ed il governo catalano, durante i quali viene assassinato Camillo Berneri: “Quando lo venni a sapere provai un senso di sgomento e di amarezza che mi segnò profondamente. Tanto che decisi di andarmene via e di abbandonare la Spagna. E se anche fossi rimasto più a lungo laggiù avrei continuato a stare dalla parte degli anarchici: ero molto distante ideologicamente dai comunisti delle brigate internazionali, sebbene ammirassi i loro sforzi nella lotta antifascista.” Rientrato in Svizzera non subisce alcuna conseguenza in quanto, essendo residente a Parigi, le autorità non riescono a dimostrare una sua partecipazione alla guerra di Spagna. Completata la sua formazione professionale in Svizzera all’ospedale Balgrist di Zurigo, dove si specializza in chirurgia toracica, poi a Ginevra e più tardi anche all’Istituto Rizzoli di Bologna (uno dei centri d’avanguardia per l’ortopedia), Elio Canevascini nel 1944 parte con il dr. Paul Parin e il dr. Marc Oltramare per una missione medica della Centrale Sanitaria Svizzera (CSS) in Jugoslavia, dove i partigiani di Tito stanno incalzando l’occupante nazista. Un’iniziativa che vuol anche essere una risposta alle spedizioni mediche elvetiche che accompagnano l’esercito tedesco sul fronte orientale, promosse dagli ambienti filo nazisti della Svizzera interna. Opera come medico con le truppe partigiane dell'Esercito Popolare di Liberazione di Tito, nel reparto sanitario della X Brigata. Sarà una lotta feroce quella sulle montagne montenegrine, alle prese col freddo, la neve, la brutalità delle rappresaglie della Wehrmacht in ritirata. Il gruppo in cui opera Canavascini comprende cinque medici, assistiti da infermiere locali (spesso analfabete), insediati sui vari fronti, che lavorano giorno e notte ad amputare arti per salvare le vittime da cancrene, a ricucire con mezzi di fortuna corpi straziati: circa 100.000 operazioni in pochi mesi. Sarà questa, durata 10 mesi, dopo l’apprendistato spagnolo, un’esperienza formativa da molti punti di vista per Elio Canevascini, che al rientro dividerà ben presto il suo tempo di chirurgo, specialista in ortopedia all’Ospedale di Mendrisio, dove esercita come primario dal 1953 al 1972. Partecipa anche a missioni umanitarie nel Sahara a supporto del Frente Polisario (Frente Popular de Liberaciòn Saharaui) che combatte per l’indipendenza contro il governo marocchino, in Eritrea, Vietnam e Cambogia. Ricoverato nella casa di riposo di Rancate, muore a seguito di una caduta a Mendrisio (Canton Ticino) il 13 dicembre 2009.
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