Bolognesi Remo di Biagio e Maddalena Tagliavini, nato il 2 gennaio 1913 a Imola (Bologna). Falegname, comunista. Frequenta le scuole fino alla licenza elementare. Iscritto al Partito Comunista, viene arrestato ad Imola il 4 gennaio 1931 con altri 88 militanti antifascisti, per associazione e propaganda sovversiva e detenzione di armi. Deferito al Tribunale speciale viene prosciolto in istruttoria, il 16 giugno 1931. Nuovamente arrestato il 4 gennaio 1931 per riorganizzazione del Partito Comunista, viene condannato dal Tribunale Speciale, ma riesce ad espatriare clandestinamente in Francia dopo il rilascio. Da lì si trasferisce in Unione Sovietica nel 1933 prendendo il nome di “Miro Baroncini”. Si sposa con Tamara Alexandrova ed ha un figlio, Noris, al quale viene dato il cognome Baroncini e non Bolognesi. Alloggia con la famiglia all’Hotel Lux di Mosca. Secondo Roasio frequenta la scuola di partito “Zapada” e dopo essersi ammalato, una volta guarito inizia a lavorare in fabbrica. Secondo Corneli invece dopo la scuola di partito, diviene funzionario di un certo rilievo e gli vengono affidati incarichi per i quali spesso parte e ritorna dalla Francia e dalla Spagna. Nel dicembre del 1936 è segnalato quale combattente antifranchista nella Spagna repubblicana ed inserito nel Bollettino delle Ricerche e nella Rubrica di Frontiera per il procedimento di arresto. Rientrato in Unione Sovietica da una missione in Europa viene arrestato nell’agosto 1937 con l’accusa di essere una spia trotskista. Condannato a 10 anni di lavori forzati, poco o nulla si sa delle sue peregrinazioni carcerarie, anche se gli ex detenuti russi F. Beck e W. Godin, in un libro di memorie, ricordano «il giovane Baroncini, esponente del movimento giovanile comunista italiano, il quale con rinfrescante allegrezza organizzò le celebrazioni natalizie in una cella carceraria di Mosca destinata a 24 uomini e occupata da 150». Infine viene inviato nel gulag di Magadan sui monti di Kolyma, nell'estremo oriente russo, poco sotto il circolo polare artico. I detenuti di Magadan erano impiegati nella costruzione di una strada militare in una zona dove, in inverno, la temperatura scende fino a 50 sotto zero. Bolognesi muore una decina di anni dopo, poco prima di avere terminato di scontare la pena, quasi sicuramente per freddo e dalla fame. Un ex deportato, tornato a Mosca, informò la moglie che Bolognesi era morto alla vigilia della liberazione. E’ stato riabilitato in anni recenti, per iniziativa di Paolo Robotti. La famiglia Bolognesi si rivolse invano all'ambasciata sovietica a Roma, allo Schedario mondiale dei dispersi, alla Croce rossa, alla Mezza luna rossa e all'ONU per aver notizie del loro congiunto. Ovviamente venne interessato anche Togliatti. Ha scritto Corneli: «Palmiro Togliatti lasciava la lettera di Gino Bolognesi senza risposta». La sua vicenda venne definitivamente chiarita nel 1972, quando la sorella Maria si recò a Mosca e potè conoscere la cognata e il nipote, dai quali apprese la tragica vicenda di Remo. Scomparsa da anni Tamara Alexandrova, resta il figlio Noris, un ingegnere navale.