Bruzzichesi Avelina di Filippo e Anna, nata il 3 gennaio 1913 a Bloomfield (New Jersey). Italo-americana, infermiera, antifascista. Nata e cresciuta in una numerosa famiglia cattolica con 4 fratelli e 7 sorelle, compie gli studi di infermieristica nel 1936 presso il City Hospital di Newark (New Jersey). Successivamente lavora per un anno presso il Metropolitan Hospital di New York. Durante la primavera del 1937, in un comizio all'ippodromo di New York, ascolta l'appello di Padre Michael O' Flanagan, un prete irlandese socialista che gira gli Stati Uniti chiedendo aiuti medici per la Repubblica spagnola e decide di partire. Ottenuto il passaporto il 30 ottobre 1937, si unisce alla West Coast Medical Unit guidata dal Professor Leo Eloesser, chirurgo toracico dell’Università di Stanford, imbarcandosi il 4 novembre 1937sul piroscafo “Queen Mary”. Inserita nel Servizio Medico Repubblicano opera inizialmente, da ottobre a novembre 1937, presso l'Istituto di Neurologia e, successivamente, a Teruel dove collabora dal dicembre 1937 alla organizzazione di un ospedale mobile da 200 letti, in prossimità del paese di Alfambra, che accoglie sin dalle prime ore della battaglia, i feriti nell’attacco repubblicano alla città. L’equipe del Professor Eloesser comprende buona parte del gruppo arrivato col gruppo della West Coast, oltre alla Bruzzichesi il Dott, Van Zand del Texas, il Dott. Weekfield dello stato di Washington, il Dott. Leonard di San Francisco ed il conducente di ambulanze James Nuegass. Bruzzichesi opererà nell’ospedale come assistente di sala chirurgica con i chirurghi Barsky, Busch ed Eloesser, fino alla riconquista di Teruel nel gennaio 1938 da parte delle truppe franchiste ed alla ritirata generale dell’esercito repubblicano. La battaglia si svolge in condizioni metereologiche proibitive in un inverno eccezionalmente freddo. In una lettera dell’8 gennaio 1938 scrive: “[…] Non c’è luce elettrica. Abbiamo operato alla luce delle candele e con delle piccole torce elettriche fissate sulle nostre teste […]. Immagina eseguire laparotomie in queste condizioni! Non abbiamo riscaldamento. Fa molto freddo, 16-18 gradi sottozero e sono talmente congelata che quando mi butto sul pavimento su un materasso estivo, avvolta nel mio sacco a pelo -un regalo di Dio- non riesco a dormire. Molti uomini ci vengono portati colpiti da congelamento agli arti. I feriti giacciono in un grande stanzone di osservazione su materassi di cotone, vicino alla stufa. Non oso portarli nelle gelide corsie, almeno fino a quando non si saranno ripresi dallo shock. Pochissimi letti, la maggior parte dei quali rotti, non abbiamo abbastanza materassi, né lenzuola che tentiamo di sterilizzare con una stufa da cucina. Stamattina sono entrata in un ufficio dove l’amministratore era seduto con i suoi uomini intorno ad una stufa e lo staccata peer portarla in camera operatoria. E’ l’ultima goccia! Rubare una stufa calda! […] Si sposta poi a Barcellona dove rimane fino al crollo del fronte catalano all'inizio del 1939. Passata in Francia viene portata a Perpignan da dove tenta di portare aiuto ai repubblicani spagnoli detenuti in condizioni disumane in campi di raccolta privi di tutto. Rientra negli Stati Uniti il 21 febbraio 1939 sul piroscafo “Ile de France”. Il 31 gennaio 1940 scrive una lettera al suo ex-capo Leo Elosser, descrivendogli le tremende condizioni dei campi: “Caro Dott. Eloesser, […] quando i rifugiati entrarono in territorio francese, i loro problemi e le loro sofferenze non finirono lì. Coloro che sono arrivati per primi hanno dovuto proseguire per una trentina di chilometri fino ai campi che sarebbero stati le loro case. Erano considerati “prigionieri di guerra” e trattati come tali. Gli oggetti di valore venivano loro sottratti e anche l'equipaggiamento dell'esercito, le armi, le ambulanze, ecc., vennero sequestrate dal governo Daladier e non fu permesso loro di andare a Valencia come volevano i leader spagnoli. Ho scelto di chiamare i campi in cui furono messi tutti i rifugiati, campi di concentramento perché, a mio avviso, erano ancora peggiori dei campi che avevo immaginato in Germania. Non erano altro che distese di terra nuda, delimitate da filo spinato e sorvegliate da guardie senegalesi. Non c'era in Francia alcun riparo, almeno per il primo mese. Era febbraio, i campi si estendevano da Perpignan ai Pirenei. Faceva un freddo pungente e il vento delle montagne soffiava quasi continuamente sugli accampamenti, così come la sabbia delle spiagge. Naturalmente non c'erano servizi igienici. Come tanti animali, queste brave persone dovevano mangiare, dormire e defecare sullo stesso pezzetto di terra che era la loro casa. Per riscaldarsi scavavano buche nel terreno e si coprivano con coperte, ramoscelli, latta o qualsiasi cosa potessero trovare per proteggersi dal vento freddo. Quattromila rifugiati e la maggior parte in campi come questi. Che oltraggio! Non ci volle molto perché l'epidemia di tifo si diffondesse in questi campi. Difterite polmonite, tifo, scabbia erano anch'essi molto comuni e questi poveri rifugiati che non venivano uccisi dalle malattie, spesso morivano per la fame e l'esposizione al freddo. Margareth Welsh, l’infermiera gallese, […] ci ha raccontato di un soldato catalano che aveva pochi franchi e voleva uscire dall'accampamento per comprare del cibo. La mattina ricevevano solo un liquido scuro che doveva essere caffè e la sera una zuppa per la quale dovevano fare la fila. Questo ragazzo catalano non riusciva a far capire ai senegalesi cosa volesse e innocentemente cercò di allontanarsi il campo. La guardia lo colpì con una baionetta all'addome. Morì all'istante.” Sposata due volte, Avelina Bruzzichesi muore il 23 gennaio 1999 a Ojai in California (Stati Uniti).
Commenti