Pieretti Giuseppe, nato il 10 settembre 1891 a Cagli (Pesaro), un popoloso centro montano dell’entroterra pesarese, ricco di tradizioni ma economicamente povero di risorse. Rappresentante di commercio, comunista. Frequenta la scuola fino alla licenza media inferiore. Di ideologia socialista nel 1915, per evitare di essere richiamato al fronte, espatria in Uruguay dove risiede un suo zio proprietario di una fabbrica. Vi rimane per tutto il periodo della prima guerra mondiale, ma i rapporti con lo zio si vengono a deteriorare. Pieretti, infatti, fa propaganda politica sul luogo di lavoro, inasprendo i rapporti tra lo zio e gli operai. Nel 1920 rientra in Italia e a Cagli si rigetta febbrilmente nella vita politica, fa parte della lista socialista che si presenta alle elezioni amministrative del 17 ottobre e conquista il posto di assessore del comune. Con il congresso di Livorno, passa al neonato Partito Comunista d’Italia e fonda la sezione a Cagli, a cui aderiscono buona parte della base socialista e la maggioranza dei consiglieri comunali, di cui è anche segretario. Il 12 febbraio 1922, in qualità di rappresentante della sezione di Cagli, partecipa al secondo congresso comunista della provincia di Pesaro-Urbino ed è eletto revisore dell’assemblea. Intanto prosegue la sua attività di assessore e di sostituto del sindaco. E’ in questo periodo che la polizia inizia a interessarsi a lui e lo scheda quale comunista. Dopo scontri con i fascisti guidati dallo squadrista Raffaello Riccardi avvenuti a Cagli, in cui è accusato di aver sparato due colpi di pistola, si dà alla latitanza, abbandonando la famiglia e la carica di assessore. E’ certo infatti del mandato di cattura nei suoi confronti e non nutre più nessuna fiducia nella giustizia dello Stato. Trascorre un po’ di tempo nei paraggi di Cagli, consapevole che la sua condizione personale è sempre più in pericolo con il precipitare della situazione politica nazionale. Dopo la marcia su Roma, la decisione ventilata dell’emigrazione diventa una via d’uscita inevitabile. Nel novembre del 1922 passa clandestinamente in Francia, e a dicembre è condannato in contumacia dalla Corte d’Assise di Pesaro a quattordici anni e un mese di reclusione e a centottantamila lire di multa per il reato di tentato omicidio (verrà amnistiato il 26 dicembre 1925). In Francia, per poter eludere le ricerche della polizia, assume false generalità, si fa chiamare Corrado Vincenti e abita a Passage Thérmophile n. 69 di Paris 14, Si mantiene lavorando in varie officine meccaniche. Nell’aprile del 1924 la polizia francese è messa sulle sue tracce dal consolato italiano che ne esige l’arresto per fargli scontare la condanna ricevuta in Italia. Pieretti pur individuato riesce a sottrarsi all’arresto. Decide di riparare in Belgio dove rimane fino al 1927. Si stabilisce prima a Charleroi e poi a Bruxelles, lavorando come cameriere e successivamente come viaggiatore di commercio, attività che gli consente di giustificare i suoi spostamenti da una località all’altra per organizzare la propaganda antifascista e incontrare i fuoriusciti. Fonda la Lega Italiana Antifascista del Belgio (LIAB) assieme a Fortunato Veronese e Achille Moro, e ne diviene segretario. Venuto a conoscenza dell’amnistia relativa alla sua condanna, allenta la guardia e nel settembre del 1926 è arrestato, tradito da una spia fascista infiltrata nella LIAB. Viene rilasciato dopo sette giorni di detenzione in quanto il governo italiano non ne richiede l’estradizione. Sul finire dello stesso anno partecipa a una riunione sindacale tenutasi nella casa del popolo di Aliseau. Il suo intervento esula dai contenuti sindacali e si trasforma in una violenta invettiva contro il fascismo e Mussolini. Uscito ormai allo scoperto, si attira l’antipatia del console italiano di Charleroi che lo fa arrestare una seconda volta, accusandolo di essere uno degli organizzatori di un imminente congresso antifascista. Nessuna prova di questa accusa viene trovata contro di lui, risultando solo la sua collaborazione al giornale antifascista “Il Riscatto”. Per le autorità comunque la sua attività politica è più che sufficiente a far scattare il decreto d’espulsione (8 dicembre 1926). Pieretti rimane tuttavia in Belgio sotto false generalità per gran parte del 1927, fino a quando viene nuovamente arrestato. Costretto ad abbandonare il Belgio si rifugia in Lussemburgo a Esch-sur-Alzette, altra zona di intensa emigrazione italiana. Qui lavora alcuni mesi nelle miniere di ferro, fino al marzo del 1928 quando su denuncia del consolato italiano del Lussemburgo viene espulso anche da questo paese, in quanto ritenuto elemento pericolosissimo. Passa in Germania e da qui illegalmente nella regione della Saar dove lavora per un breve periodo, ma non potendosi regolarizzare la sua permanenza, decide di trasferirsi nella zona di confine tra la Francia, il Belgio e il Lussemburgo svolgendo un intenso lavoro sindacale e di propaganda antifascista. Fermato dalla polizia francese a Longouyon nel settembre 1929 è costretto ad abbandonare la zona e a rifugiarsi a Parigi nel 1928, dove si nasconde sotto falsi nomi per evitare l'espulsione, impegnandosi nella propaganda antifascista e al servizio del Partito Comunista. Per le sue capacità organizzative e la sua abilità propagandistica il partito gli affida incarichi di rilievo a livello di stampa clandestina. Già nel 1929 cura l’invio in Italia di giornali e stampe proibite dal regime. Agli inizi degli anni ’30 è amministratore de “Lo Stato Operaio”. Secondo la polizia italiana ricopre la carica di responsabile della stampa comunista in lingua italiana a Parigi. Malgrado la delicatezza della sua carica Pieretti non disdegna l’azione diretta. Il 28 ottobre 1932 durante un ricevimento organizzato al ristorante Poccardi, dal comitato italiano di Parigi per festeggiare l’anniversario della marcia su Roma, fa irruzione nel locale con altri antifascisti guidati da Riccardo Rohegger (Richard) e dopo averlo devastato dà fuoco personalmente a una foto del duce appesa al muro. Nel 1936 collabora alla costituzione del Fronte Popolare italiano della zona di Bordeaux. Nel novembre dello stesso anno è malmenato dai fascisti durante le celebrazioni per l'anniversario della marcia su Roma Espulso dalla Francia vi rimane illegalmente. Allo scoppio ella guerra civile in Spagna inizia la sua attività a favore della Repubblica spagnola. Svolge soprattutto servizio di spola tra la Francia e la Spagna, consegnando armi e vettovagliamento all'esercito repubblicano. Nei primi del 1937 è incaricato a rappresentare il comitato internazionale comunista presso l’organizzazione che si è assunta l’onere di sussidiare le famiglie dei volontari antifascisti partiti per la Spagna. Arrestato nel maggio del 1938 per infrazione al decreto d’espulsione, sconta sei mesi di carcere alla Santé prima e a Fresnes. Allo scoppio della seconda guerra mondiale vorrebbe raggiungere il Messico ma non è in possesso dei fondi necessari per il viaggio. Il 18 dicembre 1942 è arrestato della Gestapo. Tradotto in Italia e arrestato dalla polizia italiana al Brennero, soggiorna un mese nelle carceri di Vipiteno prima di essere trasferito a Pesaro il primo marzo del 1943. Interrogato dal questore il 6 aprile 1943 gli vengono assegnati cinque anni di confino con l’imputazione di propaganda comunista in Italia e all’estero, da scontare sull’isola di Ventotene. Liberato il 23 agosto 1943 rientra a Cagli e prende parte alla resistenza nella zona ed è membro del C.L.N, di Cagli, attivo nel sostenere la lotta armata della V Brigata Garibaldi “Pesaro”. Dopo la liberazione del paese. È nominato sindaco e sarà riconfermato nella carica anche nelle libere elezioni popolari del 24 marzo 1946. Nel 1951 è eletto consigliere provinciale ed è assessore supplente nella Giunta Pierangeli, incarichi in cui si distinse per il suo dinamismo e illimitato impegno a favore della comunità cagliese e del PCI a cui rimase legatissimo. Muore a Cagli (Pesaro) il 12 agosto 1965.
Annotazioni: Scheda biografica che include le informazioni di Roberto Lucioli per il volume Gli antifascisti marchigiani nella guerra di Spagna (1936-1939) [Ancona]: ANPI Marche/Istituto regionale per la storia del movimento di liberazione nelle Marche, stampa 1992 e dell\\\'articolo dello stesso ricercatore in Renato Riccioni, Biografie di comunisti marchigiani: da Livorno alla clandestinità, I Quaderni Istituto Gramsci delle Marche, n.6 1993, pag. 76-89 https://istitutogramscimarche.it/wp-content/uploads/quaderni-gramsci/6%20.%20Biografie%20di%20comunisti.pdf
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