Ahmed Din Giuseppe o Joseph, nato nel 1897 in Eritrea, di probabile religione cristiana per il nome di battesimo ed identificato tra i miliziani in Spagna come “l'Abissino”. Comunista. Nel paese natale apprende l’italiano sia pure ad un livello rudimentale. Trasferitosi in Francia in data ignota, nel 1932 si iscrive al Partito Comunista francese. Giunto in Spagna a seguito dello scoppio della guerra civile, tra l'ottobre e il novembre 1936 risulta mitragliere nel Battaglione Garibaldi, nel reparto d'assalto della 1. Compagnia. Partecipa ai combattimenti della difesa di Madrid a Cerro de lo Angeles e Puerta de Hierro dove risulta ferito il 23 novembre 1936, senza per questo lasciare il suo posto di combattimento. Promosso sergente, nei combattimenti di Pozuelo, trovandosi di fronte ai mori dell’esercito franchista, li esorta a disertare, anche se poi non esita a colpire con efficacia chi tenta di avanzare. Il 2 gennaio 1937 il “Nuovo Avanti” di Parigi, pubblica un articolo su di lui da titolo “L’abissino del battaglione”: “Il Battaglione Garibaldi ha il suo abissino. E perché no, visto che Mussolini si è annessa la povera Abissinia? L’abissino del Battaglione è un somalo, un bravo compagno sempre il primo nell’azione. Si chiama Amed din Josef. Appartiene alla valorosa 3, Compagnia comandata dal compagno Ferrari. E’ già stato promosso sergente, e -ciò che più conta – è il beniamino della Compagnia. Amed lo merita. Nei combattimenti di Los Angeles e della Porta di Ferro si è fatto molto onore. Ferito, è rimasto al suo posto. Il suo fucile a mitraglia ha fatto “merveilles” (per riprendere un’antica espressione) su tutti i fronti. Nei combattimenti di Pozuelo il bravo Amed si è trovato di fronte ai mori sui fratelli di continente. Egli parlava loro per deciderli di disertare. Ma era altrettanto inflessibile nel compimento del suo dovere. Aveva messo in posizione il suo fucile dietri un muro assai solido. Dalla feritoia dominava una strada. Il suo occhio di lince non abbandonava un istante la mira. A un centinaio di metri tre cadaveri attestavano la sicurezza del suo tiro. – Vedi – l’ho inteso dire in un più che mediocre italiano al comandante Pacciardi – chi s’affaccia a questa strada è morto. Nel nero volto, i denti bianchissimi e gli occhi maliziosi mettevano una nota di gaiezza. Amed era contento. Contento di vendicare col suo fucile i suoi fratelli massacrati in Etiopia dal piombo e dall’iprite fascista.” Il 5 aprile 1937, nel corso dei combattimenti presso Morata de Tajuña, rimane gravemente ferito tra le due linee di fuoco. Non riuscendo a rientrare da solo, viene raggiunto in soccorso dal capitano Erasmo Ferrari e da Rodomonte Nesi, che però rimangono entrambi uccisi insieme a Ahmed Din da un proiettile di artiglieria. Ahmed Din viene seppellito nel cimitero delle Brigate Internazionali di Fuencarral (Madrid). Il 9 aprile 1937, evidentemente ignari della morte del volontario, il quotidiano tedesco “Der Republikaner : Mülhauser Volkszeitung : Sozialistisches Organ für den Ober-Rhein” (Il repubblicano: Mülhauser Volkszeitung: organo socialista per l'Alto Reno) pubblica un breve articolo sul volontario: “Nei combattimenti di Pozuelo si è distinto un mitragliere che da solo difese la strada davanti a sé contro le altre truppe italiane. Il mitragliere è Ahmed Din Josef, un combattente abissino, incorporato nel Battaglione Garibaldi delle Brigate Internazionali. A volte prendeva parte a varie battaglie e, quando sapeva che c'erano dei marocchini di fronte a loro, parlava attraverso la terra di nessuno ai suoi fratelli ingannati. Pacciardi, il comandante del Battaglione Garibaldi, ha insignito Ahmed del grado di sergente per il suo coraggio". Nel volume “Garibaldini in Ispagna” pubblicato nel 1937 dal Commissariato delle Brigate Ahmed Din è ricordato da un articolo di Giorgio Braccialarghe da titolo “Il moro”: “Era venuto da lontano, da tanto lontano. Simbolo di un popolo vinto ma non domo, espressione di una volontà di vivete onestamente e di collaborare onestamente alla creazione del nostro domani. Portava tra di noi la nota esotica della sua terra natale, — Il moro! — Occhi pieni di vivacità, viso dalle fattezze virili, corpo snello e in lui una somma di buone qualità che gli consentivano di accaparrarsi subito l'affetto dei compagni.—Il moro!— Aveva per certo l'anima di un bimbo buono, e di un bimbo aveva la spontaneità dei sentimenti. Se rideva, il suo sorriso illuminato da una collana di denti bianchissimi confortava come una parola detta sottovoce quando il silenzio opprime e si ha desiderio di sentirsi vicino ad un fratello. Se stirava la sua fisionomia, per una contrarietà, sembrava che il broncio, il suo broncio lo molestasse enormemente. E subito, quasi a prova migliore di questa constatazione, il sorriso aperto. giovale, tornava ad illuminargli il viso. — Il moro! — Era un bimbo cresciuto senza darsene conto, Gli volevamo bene come ad un essere necessario che dall'infanzia ci ha accompagnato lungo il sentiero della esistenza. Forse aveva un nome. Come per tutti noi, affetti lontani, amicizie disperse in altre terre avevano pronunziato quel suo nome rimasto un mistero per noi. Egli si era compiaciuto di sentirlo sillabare da bocche amate e forse, dapprima, se n’era sentito spogliare con rammarico e nostalgia. Ma poi la vita che corre e che porta nuove abitudini lo aveva trovato rassegnato nell'accettare il battesimo impostogli dai suoi compagni di fede. di speranze e di lotte. — Era il moro, lui! — Non poteva chiamarsi altrimenti. Entrato nella nostra famiglia senza nulla chiedere, aveva, a poco a poco. ottenuto l’affetto di tutti. Affetto meritato sui campi di battaglia dove con semplicità e sangue freddo portava il suo prezioso contributo, nelle caserme delle retrovie o nelle trincee bene accoglienti dopo l'assalto faticoso. — Il moro! — Per certo che tutti lo consideravamo come un'istituzione del nostro battaglione. Era un po’ il bimbo viziato, perché sapeva acquistarsi la simpatia di ognuno, perché il suo italiano bizzarro portava una nota allegra nelle nostre conversazioni, E, soprattutto. perché sapeva battersi come solo sanno i figli del suo paese che possiede le più vere leggende sull'eroismo dei suoi guerrieri. Una pallottola lo ha inchiodato per sempre sotto gli uliveti di un altipiano spagnolo. Si è addormentato lassù sotto i simboli della pace ed i suoi occhi sotto rimasti aperti: aperti per meglio scrutare il ciel azzurro pieno di stelle, per bere nel silenzio della notte primaverile un po’ di quella pace che egli augurava all'Umanità. —Il moro! — Forse parrà strano a dirsi: ma in quella notte cosi tranquilla, piena di tremiti di vento e di sapore di primavera su tutti noi è scesa l’ombra di tristezza indicibile, Qualcuno si è asciugato una lacrima, Molti non potevano prendere sonno. Perché davanti ai nostri occhi erano quei suoi occhi vivaci e nel silenzio interrotto da qualche fucilata isolata risuonava quella sua voce armoniosa dalle cadenze infantili.” Ahmed Din verrà ricordato anche da Giacomo Calandrone nelle sue cronache garibaldine de “La Spagna brucia: ”Riusciamo ad arrampicarci sul Pingarròn per una cinquantina di metri, ma ci è impossibile proseguire. Quale fuoco di sbarramento! Si lancia in avanti ugualmente il mitragliere Joseph Ahmed Din un abissino che ha chiesto di combattere nella formazione italiana contro il nemico comune, quel fascismo che ha occupato ed invaso il suo paese. È un giovane alto, snello, pieno di vivacità. Lo chiamiamo affettuosamente ”il moro“ e gli vogliamo molto bene . Il “moro “, sparando con il suo fucile mitragliatore, avanza per una decina di metri, poi cade gravemente ferito . In suo soccorso, accorre lo stesso comandante della 3a compagnia, il capitano Erasmo Ferrari, ma anch'egli è colpito da una raffica di mitragliatrice. Nell'intento generoso di portarli nelle nostre linee, altri dieci garibaldini li raggiungono. Cadono lo spagnuolo Manuel Sanchez e il fuciliere italiano Ruggero Gas. Non li abbandoniamo. Ritirandoci ai piedi del monte, riusciamo a portarli con noi. Purtroppo poco dopo, muoiono tutti e quattro.”

Annotazioni: Si ringrazia Fabrizio Mancini per aver fornito copia dell\\\'articolo sul Nuovo Avanti, quello su Der Republikaner : Mülhauser Volkszeitung : Sozialistisches Organ für den Ober-Rhein e la testimonianza di Giacomo Calandrone. Ahmed Din nel data base dei volontari internazionali SIDBRINT dell\\\'Università di Barcellona viene fatto coincidere con il volontario Michele Abba. Tale attribuzione pare del tutto errata, per quello che conosciamo della biografia di Abba e dalle sue fotografie.