Vottero Prina Albino di Giuseppe e Geninatti Teresa, Nato a Misiní/Mezzenile (Torino) il primo marzo del 1905, in borgata Catél/Catelli. Contadino (nella emigrazione lavorerà come minatore ma sarà anche militare di professione). Vottero Prina espatria clandestinamente in Francia diciottenne nel 1923, in cerca di un lavoro, attraverso il valico nella Tarantaise da uno degli altissimi colli delle Valli lanzesi. Trova lavoro in una area mineraria nel dipartimento pirenaico della Haute-Garonne. Vi rimane per circa otto anni, fin quando la crisi dell’economia americana e mondiale non ne fa un disoccupato. Decide allora di tentare la sorte in Spagna: nei primi mesi del 1931, con documenti di identità francesi validi, passa il confine di Pont del Rei/Pont du Roi, per risalire la Valle d’Aran (Alta valle della Garonna), situata sul versante pirenaico francese ma appartenente alla Catalogna, per poi ridiscendere dal Port de Bonaigua. Poco dopo è in Asturias, regione mineraria in cui spera di trovar lavoro ma non ne trova. Allora, senz’altre risorse, Vottero Prina decide su due piedi di arruolarsi nel Tercio (la Legione Straniera spagnola, dove i pasti e la paga del soldato sono assicurati. A febbraio del 1931 Vottero Prina con il suo reparto vengono destinati in Marocco, dove rimangono fino all’ ottobre del 1934, quando il Tercio (al comando del Tenente colonnello Francisco Franco Bahamonde) ritornerà in Spagna per soffocare nel sangue la rivolta dei minatori e delle popolazioni asturiane. Con l’appoggio Guardia Civil e dei mercenari marocchini, si lasciano dietro migliaia di asturiani morti e feriti ed oltre trentamila rivoltosi in catene. Ritornato in Marocco nel febbraio del 1936 deve rimanervi fino a maggio quando, scadutagli la ferma, può tornare a Oviedo dove il 19 dicembre del 1936 si sposa con Aquilina Fernandez Álvarez. Nel frattempo inizia la guerra civile di Spagna e Vottero Prina alla luce del suo recente passato nelle forze repressive dello Stato, cerca di non prender posizione e di rimaner defilato. I fascisti premono ed il fronte settentrionale, rimasto separato dal grosso del territorio repubblicano, è ben presto ridotto alla provincia basca di Vizkaya con Bilbao, alla Cantabria con Santander, alla maggior parte del territorio asturiano, ed a una minuscola porzione dell’aspro territorio montuoso tra Léon e Galicia, territori isolati e circondati da agguerrite forze fasciste in cerca di rivincita, mentre l’area é tenuta sotto tiro dalle navi ribelli che controllano il Golfo di Biscaglia. Vottero Prina sa di non potersi sottrarre del tutto e forse nemmeno lo vorrebbe ma è realista e sa che la sua è una posizione difficile. Invitato ad arruolarsi in una unità repubblicana si finge dapprima disabile, nicchia e prende tempo, si fa ricoverare in ospedale per dolori alla spina dorsale. Sa di non poterlo fare a lungo e finisce suo malgrado a subire una precettazione per lavori stradali e di fortificazione. Vive così i lunghi mesi dell’assedio e dell’agonia del fronte del nord, tra situazioni pericolose ed il pensiero al tetto coniugale, sotto il quale era nata sua figlia Maria Teresa. Quando nell’ ottobre del ‘37 le Camicie Nere italiane del CTV (Corpo truppe volontarie) dilagano dopo aver sfondato le ultime difese repubblicane ed assicurano salva la vita ai difensori che si arrendono (salvo affidarli subito ai carnefici franchisti) Vottero tira probabilmente un sospiro di sollievo. Invitato ad ossequiare le nuove autorità, deve palesarsi come suddito italiano pur sapendo che nella zona nord appena conquistata la cosa sarebbe potuta apparire sospetta e lui essere considerato un combattente internazionale. Infatti viene imprigionato: non gli credono quando racconta la parte raccontabile delle sue vicende, lo ritengono un “rosso”, un’irriducibile internazionale già combattente sul fronte Nord. Per lui ha inizio un discreto calvario: rinchiuso per quasi sei mesi a San Pedro de Cardena (Burgos), un monastero trasformato in campo di prigionia per i volontari internazionali, é poi aggregato a un Battaglione di lavoro impiegato nella ricostruzione di strade, ponti e ferrovie nei pressi di Segovia (lavoro da schiavi costretti a lavorare per i vincitori, sotto la minaccia pendente di una condanna a morte), deve paradossalmente la salvezza al fatto di essere straniero (e sospetto veterano delle Brigate Internazionali), tant’è che viene trasferito al campo di detenzione di San Pedro de Cardeña (Burgos), dove vengono concentrati i prigionieri internazionali. Vottero Prina è però uno straniero particolare, connazionale degli utili ed ingombranti alleati fascisti, di modo che si decide che debbano essere quelli ad occuparsene. Restituito agli italiani a settembre del 1938, viene rimpatriato. Imbarcato a Cadice (Andalusia), il 18 settembre prende terra nel porto di Napoli per poi esser sistemato nel carcere di Poggioreale. Ancora alcuni mesi di detenzione, poi la Commissione provinciale per il confino di polizia ne decide l’assegnazione per 5 anni a Ponza, a decorrere dall’8 marzo del 1939. Non vi resta a lungo: il 24 luglio dello stesso anno viene trasferito alle isole Tremiti. Mentre langue nel piccolo e ventoso arcipelago pugliese dell’Adriatico me-ridionale, sta prendendo corpo una sua tenace attività volta ad ottenere la liberazione. Il lavorio, partito quand’era a Ponza, inizia con l’esibizione delle lettere in cui Vottero narra alle autorità fasciste la sua intera vicenda iberica e confessa il suo sostanziale disimpegno (…ero lì solo per lavorare, non avrei voluto… i repubblicani mi hanno costretto. Inoltre tengo famiglia, cattolica apo-stolica e romana ho anche combattuto nel Tercio…). Seguono una stropicciata e contorta adesione al regime ma soprattutto conta il tenace attivismo della moglie devota e del parroco asturiano che li aveva maritati. I due, che raccolgono testimonianze, accumulano dichiarazioni di benemerenze e altri titoli di merito (a partire dal servizio nel Tercio), vantano anche lettere di canonici, vescovi e quant’altro. Tutto inizia a funzionare a dovere, come in un meccanismo ben oliato, ed i risultati non tardano ad arrivare: dal 7 al 13 novembre del 1939 gli viene concessa una licenza da trascorrere a Torino e fors’anche a Mezzenile, ma dopo alcuni mesi di attesa, culminati all’ inizio del 1941 col perdono di Mussolini, ecco giungere infine la revoca del confino e da aprile finalmente l’ agognata autorizzazione franchista al suo ritorno in Spagna, col ricongiungimento familiare a San Sebastián dove nel frattempo s’erano trasferite moglie e figlioletta. Da allora nessuna ulteriore notizia.
Annotazioni: Biografia di Gianpaolo Giordana aggiornata a giugno 2017, realizzata sulle seguenti fonti consultate: Archivio INSMLI – Milano (Fondo Archivio Aicvas), Archivio Centrale dello Stato – Roma (Casellario Politico Centrale, busta 5475, fascicolo 136533), Archivio Centrale dello Stato – Roma (Confinati Politici, busta 1078), * Ricerca di Ezio Sesia – Mezzenile
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