Tommasini Umberto di Angelo e Tommasina Bernardina nato il 9 marzo 1896 a Trieste, da famiglia friulana di Vivaro (Pordenone). Lo stesso anno della sua nascita, la famiglia rientra a Vivaro. II padre, socialista, continua però a lavorare a Trieste, come facchino. Nel 1909 Umberto Tommasini, dopo la morte della madre, si stabilisce definitivamente a Trieste con i fratelli e la sorella e inizia a lavorare come fabbro, avvicinandosi alle organizzazioni socialiste. Lo stesso anno partecipa alle proteste per la fucilazione a Barcellona di Francisco Ferrer. Portatosi nuovamente, assieme alla famiglia, in territorio italiano a Vivaro allo scoppio della prima guerra mondiale, combatte sul fronte di Gorizia con l'esercito italiano, finendo prigioniero degli austriaci a Caporetto ed internato a Mauthausen. Nel primo dopoguerra è molto attivo in tutte le lotte del movimento operaio di Trieste, maturando nel contempo convinzioni anarchiche. È arrestato una prima volta in occasione dello sciopero antifascista del 1922. In seguito partecipa alla vita delle organizzazioni unitarie clandestine dell'antifascismo rivoluzionario della città. Nel 1926 è nuovamente arrestato assieme a molti compagni, fra i quali Rodolfo Gunscher, e condannato a cinque anni di confino, che sconta parte a Ponza, parte ad Ustica. Rientrato a Trieste a fine pena, nel 1932, espatria però nello stesso anno clandestinamente. Attraverso l'Austria e la Svizzera, arriva in Francia stabilendosi a Puteaux (Hauts-de-Seine). Qui continua a lavorare come fabbro, ed opera con l'Unione Anarchica Italiana e il Comitato Pro Vittime Politiche, in collegamento con diversi esponenti dell'emigrazione antifascista italiana, tra cui il repubblicano Giobbe Giopp. Nell'agosto 1936 è fra i primi volontari italiani a portarsi in Spagna. Raggiunta Barcellona, si arruola nella Sezione Italiana di Carlo Rosselli e Camillo Berneri aggregata alla Colonna Ascaso della CNT-FAI, portandosi sul fronte di Huesca. Partecipa ai combattimenti di settembre al Monte Pelato. Nel gennaio 1937 ritorna a Parigi per una breve licenza e incontra nuovamente l’ingegnere repubblicano Giobbe Giopp, tecnico di esplosivi che lo coinvolge in una missione speciale, un’azione bellica destinata all’affondamento con mine subacquee di navi militari ancorate a Ceuta, un porto spagnolo sul lato marocchino dello stretto di Gibilterra controllato dai franchisti, ottenendo l’autorizzazione ed il finanziamento dal ministro della Marina e dell’Aviazione, il socialista Indalecio Prieto. Il progetto prevede la massima segretezza. Le mine dovrebbero essere costruite nell'arsenale repubblicano della Marina a Cartagena. Oltre Giopp la squadra è composta dagli anarchici Umberto Tommasini e Giovanni Fontana e dal triestino Alfredo Cimadori, quest'ultimo in realtà un fiduciario della polizia politica fascista (col codice OVRA n. 492 e lo pseudonimo di "Febo"). La pericolosa operazione non viene portata a termine perché il gruppo viene intercettato da un posto di blocco della Guardia d’Assalto e incarcerato a Valencia il 20 gennaio 1937 nell’ex convento di Santa Ursula, con l’accusa di spionaggio degli impianti militari e gli arsenali. I fermati vengono sottoposti a stringenti interrogatori con minacce di morte da parte della polizia repubblicana. Sulle ragioni di questo arresto esistono varie interpretazioni; tutte si riferiscono in ogni modo ai contrasti esistenti, anche a livello governativo, fra le varie componenti del fronte repubblicano, in particolare tra il primo ministro Largo Caballero e Indalecio Prieto. In alternativa è anche possibile un intervento dei servizi segreti italiani informati dell’operazione da Cimadori. Tommasini riesce ad evadere, ma su richiesta della FAI/CNT si costituisce in carcere per consentire in proseguimento delle trattative per liberare l'intero gruppo, gestite dall'anarchico Garcia Oliver, Ministero della Giustizia con il Ministro socialista degli Interni Angel Galarza. Giobbe Giopp è liberato il 14 marzo 1937, per intervento del ministro Carlos Esplà del Partito Repubblicano e messo in aereo per Parigi. Tommasini e Fontana sono liberati alcuni giorni dopo, mentre Cimadori resterà in carcere sino a metà aprile. Tommasini rientra a Parigi, alla fine di aprile, ma prima effettua una breve sosta a Barcellona dove incontra per l'ultima volta Camillo Berneri, visibilmente affaticato e che verrà assassinato nei moti di Barcellona del maggio 1937. In Francia a Parigi, continua ad essere attivo con le organizzazioni antifasciste. Nell’agosto 1939 è arrestato e condannato a tre mesi di prigione per infrazione al decreto di espulsione. Liberato è subito arrestato e internato nel campo di Vernet nella baracca 34, settore dei reduci della Spagna. Dopo l’armistizio tra la Francia e l’Italia, il 24 gennaio 1941 viene consegnato alla polizia italiana. Arrestato alla frontiera dopo un interrogatorio nel carcere triestino del Coroneo, è deferito alla Commissione provinciale che lo assegna a cinque anni di confino da scontare a Ventotene. A differenza degli altri detenuti politici che vengono liberati dopo la caduta del fascismo il 25 luglio 1943, Tommasini insieme ai detenuti anarchici e slavi viene trattenuto e internato nel Campo di internamento di Renicci (Arezzo), fino all’armistizio dell’8 settembre. Prima di rientrare a Trieste decide di fermarsi a Firenze per analizzare la situazione: la notizia dell'improvvisa liberazione di Mussolini lo convince a non tornare a Trieste, dove sarebbe stato facile bersaglio della polizia, e si reca dalla sorella che abitava a Castiglione dei Pepoli (Bologna), dove si trattiene un anno e mezzo fornendo il proprio aiuto a tutto il paese e assistenza e solidarietà agli sfollati sempre in contatto con i compagni anarchici. Non partecipa alla Resistenza per diffidenza nei confronti dei comunisti. Finita la guerra, Tommasini ritorna definitivamente a Trieste, quasi cinquantenne, e vi si stabilisce con la moglie e il figlio. Riprende l'attività di fabbro così come quella politico-sindacale che lo porta, insieme a Giordano Bruch, Rodolfo de Filippi, Ottavio Volpin ed ai fratelli Primo e Libero Vigna, a fondare il Gruppo Anarchico “Germinal” e a riprendere, dal maggio 1946, la pubblicazione dell'omonima testata, stampata tuttora. Gli sforzi del movimento anarchico triestino vanno prevalentemente nel rifiuto di ogni schieramento nazionalista, in contrasto con la componente maggioritaria del movimento operaio di matrice filo-jugoslava e quella antagonista a favore dell'Italia. In tal senso Tommasini polemizza apertamente con accesi scontri verbali con i comunisti, così come con i socialisti orientati alla soluzione italiana, che si dimostravano tolleranti nei confronti dei gruppi neofascisti. Nel 1954 viene fermato, insieme ad altri due compagni, per l'affissione abusiva di manifestini che incitavano i poliziotti alla disobbedienza e alla diserzione. Al processo istituito dal Governo Militare Alleato gli vengono inflitti 11 mesi di reclusione. Le proteste giovanili del 1968 trovano Tommasini pronto a sostenere la voce dei contestatori e diventa un punto di riferimento per i giovani libertari che si avvicinano al movimento. Dal 1971 al 1979 è direttore di «Umanità Nova», giornale anarchico fondato nel 1920 da Errico Malatesta; sarà condannato per un articolo pubblicato contro un "prete mafioso calabrese”. Già ottantenne non manca di partecipare alle marce anti-militariste, ai congressi della Federazione Anarchica Italiana e ad attività di controinformazione per le quali subisce nuove denunce e condanne. Ritorna spesso a Vivaro per ritemprarsi e trovare momenti di serenità. Qui muore il 22 agosto 1980. La sua vita avventurosa è narrata nel libro "Il fabbro anarchico: autobiografia tra Trieste e Barcellona" (Vedi bibliografia).