Nitti Francesco Fausto di Vincenzo e Ciari Paola, nato il 2 settembre 1899 a Pisa. Scrittore, giornalista, socialista. Nipote dello statista Francesco Saverio Nitti. Il padre Vincenzo (1871-1957) è un pastore evangelico della Chiesa metodista episcopale italiana. Dal matrimonio con Paola Ciari - che proviene anche da una delle prime famiglie protestanti della Toscana - nascono cinque figli: Paolo Raffaele (1896-1965), Francesco Fausto, Raffaele Giuseppe (1903-1951), Anna Garibaldina (1904-2002) e Lelio Aonio (1911-1958). Il rapporto con i genitori è coinvolgente; dalla loro fede religiosa gli deriva un forte rigore morale. La famiglia segue il padre nei trasferimenti nelle varie città dove viene chiamato a svolgere la missione pastorale, prima a Torino, quindi a Livorno ed infine a Roma, dove Francesco Fausto frequenta il Liceo classico. L'adolescenza e la gioventù trascorrono in quest'ambiente severo e sereno allo stesso tempo, ma l'Europa vive momenti tumultuosi: quando compie quindici anni, scoppia la prima guerra mondiale. Da sempre la sua famiglia è legata ai destini politici dell'Italia. Anche lui, il 12 marzo 1917 a diciassette anni, si arruola volontario ordinario senza visita per la durata della ferma nel 13. Reggimento artiglieria da campagna. Il 18 agosto, nominato caporale, raggiunge il reparto nelle valli del Cadore. Partecipa ad azioni volte a contenere l'avanzata austro-tedesca dopo la rotta di Caporetto, ed infine alla controffensiva del novembre 1918. Per il suo esemplare comportamento viene promosso sergente e insignito della Croce al merito di guerra. Ritornato civile, consegue il diploma di maturità classica e, dopo essersi iscritto alla facoltà di Giurisprudenza all'Università di Roma, s'impiega presso la Banca commerciale triestina nella filiale di via del Corso. Il periodo del dopoguerra lo coinvolge a seguito dell'irruzione di una squadraccia fascista nell'abitazione del prozio Francesco Saverio Nitti, ex primo ministro, azione che lo induce a prendere posizione. Costituisce con altri antifascisti una società segreta, la “Giovane Italia”, che stampa e distribuisce documenti di propaganda contraria al nuovo governo di Mussolini. L'uccisione di Giacomo Matteotti lo porta ad uscire dalla clandestinità e ad esporsi in prima persona. Fa visita alla vedova del deputato socialista e si reca, nell'anniversario della morte, a portare un mazzo di fiori alla Garbatella, la località dove era stato ritrovato il cadavere, suscitando l'interesse della polizia politica. Il 1. dicembre 1926 viene tratto in arresto e condannato - senza processo - a cinque anni di confino, dapprima all'isola di Lampedusa ed in seguito a quella di Lipari. Alla fine del 1927, sull'isola arrivano anche Carlo Rosselli ed Emilio Lussu, con i quali stringe una profonda amicizia. Insofferenti della carcerazione i tre, grazie ai contatti in Italia e all'estero, progettano l'evasione dal confino. Dopo un primo tentativo fallito, l'impresa riesce il 27 luglio 1929. Un motoscafo proveniente dalla Tunisia, guidato da Nino Oxilia, che ha già partecipato al riuscito espatrio di Filippo Turati, si avvicina di notte a Lipari e, presi a bordo i tre fuggiaschi, si dirige verso l'Africa. Di qui i tre raggiungono Parigi, dove sono al centro dell'attenzione dell'opinione pubblica mondiale per essere riusciti a farsi beffe di Mussolini e del suo apparato poliziesco. Ognuno di loro scrive un racconto dell'avventurosa fuga: Nitti pubblica un'autobiografia che, stampata in inglese, francese, tedesco e svedese, ottiene un buon successo di vendite. Grazie anche alla sua adesione alla massoneria viene accolto nell'ambiente dei libero-muratori e tiene numerose conferenze in logge d'oltralpe. Fonda, tra gli altri, il movimento Giustizia e Libertà, divenendone anche uno dei responsabili. Nel frattempo sposa Ameriga D'Angelo, una maestra elementare che ha conosciuto in Italia, anche lei espatriata clandestinamente. Inizio la vita in esilio, impegnato politicamente e nelle difficoltà della vita quotidiana - nascono nel frattempo due figli - cambiando diversi lavori e lasciando infine Parigi per un impiego a Périgueux. Nel febbraio-marzo 1937 raggiunge la Spagna repubblicana e qui gli viene assegnato il comando del Battaglione de la Muerte di anarchici che nelle precedenti ha subito pesanti rovesci. Riorganizzata l'unità con molta difficoltà, partecipa al fallito tentativo della conquista di Huesca nel giugno 1937, nel settore di Alerre e Chimillas, a fianco alla 12. Brigata internazionale Garibaldi. Resta ferito il 16 giugno 1937, quando un carro armato repubblicano fa una brusca manovra per evitare l'artiglieria nemica e gli schiaccia una gamba. Viene ricoverato negli ospedali di Lerida e Barcellona. Guarito, alla fine agosto, partecipa alla battaglia di Belchite. Viene assegnato successivamente al comando del 644. Battaglione della 140. Brigata mista prendendo parte ai combattimenti in cui questo battaglione è impegnato. Trasferito ad un'unità di artiglieria, prende parte, nel luglio, alla battaglia dell'Ebro, comandando il 1. Gruppo cannoni dislocato di fronte a Gandesa. Nel settembre 1938, per effetto del ritiro dei volontari dalle unità repubblicane, viene trasferito al campo di raccolta di Cardedeu. Rientrato in Francia nel 1939, non può riunirsi alla sua famiglia perché viene internato al campo di Argelés-sur-Mer, dove ha il comando del settore dei reduci delle Brigate internazionali. Per aver protestato con le autorità francesi per l'inumano trattamento riservato ai combattenti di Spagna, viene classificato come estremista pericoloso e incarcerato per punizione nel castello di Collioure. In prigione si fa promotore di uno sciopero della fame dei detenuti e per la pressione dell'opinione pubblica viene liberato e raggiunge la famiglia. Nel 1941, mentre sta progettando di andare in Messico, aderisce a un movimento di dissidenza al governo filonazista di Pétain. Costituitasi a Tolosa, città in cui si è trasferito, una rete d'informazione clandestina legata al Bureau Central de Renseignements et d'Action della Francia libera, prende parte, quale responsabile del servizio Materiali e distruzioni, alle operazioni di ricevimento dei lanci con paracadute. L'arresto nel dicembre 1941 di uno dei componenti del gruppo porta al fermo dell'intero gruppo. Processato con gli altri nel luglio 1942 viene condannato ad un anno di carcere, che sconta nelle prigioni di Lodéve, Mauzac e Saint-Suplice-la-Pointe. Alla fine della pena non viene liberato ma viene inviato al campo d'internamento di Vernet d'Ariège. Rimane nel campo fino al 30 giugno 1944 quando i tedeschi prelevano tutti gli internati rimasti, in gran parte inabili al lavoro, per deportarli in Germania su quello che passerà alla storia come “il treno fantasma”. Il treno, partito da Tolosa il 2 luglio, impiega cinquantotto giorni per raggiungere il campo di sterminio di Dachau. Nel corso del viaggio perde però un centinaio dei circa settecento deportati; una decina muore a seguito di mitragliamenti da parte d'aerei alleati; il resto riesce in modi diversi a fuggire. Nitti scappa con altri compagni di viaggio, dopo aver tolto alcune tavole dal pavimento del vagone, calandosi sulle rotaie mentre il convoglio viaggia nell'Haute Marned. Raggiunta la Resistenza, si arruola nel maquis di Varenne-sur-Amance fino a quando viene smobilitato il 29 agosto. Per il suo contributo alla causa della Liberazione della Francia viene insignito della Médaille de la Résistance. Raggiunta la famiglia a Tolosa, nel 1946 rientra in Italia. Ricopre diverse cariche in associazioni antifasciste, tra cui l'AICVAS, di cui è presidente dalla fondazione fino alla sua morte. Inoltre è direttore della rivista dell'ANPI "Patria Indipendente" e consigliere comunale di Roma. Qui muore il 28 maggio 1974. Ha lasciato un libro di memorie della guerra di Spagna dal titolo “Il maggiore è un rosso”.