Minguzzi Andrea di Antonio e Bedeschi Giovanna, nato il 24 maggio 1890 ad Alfonsine (Ravenna). Impiegato, repubblicano. Combatte nella prima guerra mondiale. Espatriato clandestinamente con altri antifascisti nel 1926, risiede in Francia a Sartrouville (Yvelines), dove aderisce all’Associazione franco-italiana degli ex-combattenti. Un decreto ministeriale del 22 maggio 1929 ne ordina l'espulsione a causa della sua "attività rivoluzionaria". Rientra in Francia e abita in rue Berthe, nel XVIII arrondissement di Parigi (Senna), ottenendo proroghe trimestrali rinnovabili del suo soggiorno. Parte per la Spagna nell’agosto de 1936 in un gruppo di volontari organizzati da Giustizia e Libertà e il 23 agosto è già sul fronte di Huesca come mitragliere nella Sezione Italiana di Carlo Rosselli e Camillo Berneri, aggregata alla colonna Ascaso della CNT-FAI. Il 28 agosto successivo combatte a Monte Pelato. Il volume “Garibaldini in Ispagna”, pubblicato a Madrid nel 1937 dalla Commissariato delle Brigate, descrive Minguzzi come un combattente prode e coraggioso, che rappresentò degnamente nella Sezione Italiana della Colonna ”Ascaso” la migliore tradizione risorgimentale del Partito Repubblicano Italiano. Successivamente passa alla brigata Garibaldi alla fine di ottobre del 1936. Combatte come tenente nella battaglia del Jarama ad Arganda, dove, come testimonia Pietro Nenni, viene ferito alla testa il 14 febbraio 1937, insieme al commissario politico Arnaldo Azzi. Così lo ricorda nel suo libro “E café d’Cai” l’alfonsinese Tonino Pagani, quando, allora bambino, con gli avventori del bar Vittoria e dell’albergo ‘Al Gallo’ in piazza Monti, ascoltavano Radio Mosca: “Una sera, quando da poco la Spagna da monarchia si era trasformata in Repubblica mediante libere elezioni, stavamo ascoltando, di nascosto, le notizie trasmesse da radio Mosca sulla guerra civile in Spagna. Apprendemmo così che un volontario della brigata internazionale repubblicana comandata da Randolfo Pacciardi si era comportato da eroe, perché da solo, col suo fucile mitragliatore, aveva rotto l’accerchiamento, riuscendo a far passare il suo battaglione e a mettersi in salvo; ma era rimasto sul terreno accanto al suo fucile, ferito così gravemente da sembrare morto. Lo speaker aggiunse il nome del volontario: era Andrea Minguzzi, di Alfonsine. Ne fummo orgogliosi.” Guarito, anche se con qualche scheggia di pallottola che non è stato possibile estrarre, Minguzzi rientra nel Battaglione. Nel marzo del 1937 Minguzzi risulta trovarsi a Port-Bou in compagnia di Luigi Campolonghi, presidente dell’Unione Popolare Italiana (UPI), l’Associazione francese dei fuorusciti italiani. Nell’estate successiva è presente in Barcellona, quale rappresentante del PRI, in una riunione organizzativa del locale Consolato Italiano, allora diretto da Giaele Franchini Angeloni, rimasto vacante per la latitanza del precedente funzionario di nomina fascista. Rientra in Francia nel settembre del 1937, dopo essersi guadagnato il grado di tenente. Nel 1939 si trova nella regione parigina, totalmente schierato con le tesi anticomuniste di Randolfo Pacciardi. Alla scadenza del suo permesso di soggiorno è arrestato dalla polizia e imprigionato. Il 25 gennaio 1939 compare davanti alla 17. sezione del Tribunale penale ed è condannato a sei mesi di reclusione. Dopo aver scontato la pena, è portato nel campo di internamento di Gurs (Basses-Pyrénées, Pyrénées-Atlantiques), dove viene rilasciato all'arrivo delle truppe tedesche nel luglio 1940. Al ritorno a Parigi, ottiene un permesso di soggiorno dalla Prefettura di Polizia, valido fino al 3 gennaio 1942. Dal 4 novembre 1941, operaio cementista presso Ets Joubert et Cormes 74, rue Saint-Lazare, nel IX arrondissement di Parigi, viene inviato a Coulommiers (Seine-et-Marne) per lavorare in un cantiere tedesco. Le autorità di occupazione tedesche chiedono alla Préfecture de Police di redigere un elenco degli ex brigatisti in Spagna. La lista è redatta dalla 3. sezione dei Renseignements généraux ed è pronta il 19 settembre 1941. Il consigliere Karl Boemelburg, SS-Sturmbannführer che comandava la SIPO e la Gestapo in territorio francese, decide un'operazione generale di repressione nel dipartimento della Senna. L'operazione ha luogo il 24 dicembre 1941 e André Minguzzi era sulla lista. E' arrestato il 19 luglio 1942 e portato nella caserma di Tourelles, nel ventesimo arrondissement di Parigi, per poi essere trasferito il 5 novembre 1942 nel campo di internamento di Rouillé (Vienne), da dove è tradotto in Italia nel novembre 1942. Arrestato alla frontiera è deferito alla Commissione Provinciale che lo confina a Ventotene da dove è liberato nell'estate 1943 alla caduta del fascismo. Liberato torna a vivere ad Alfonsine (Ravenna) Quando nel 1943 torna in paese, va ad abitare in una camera della casa Argelli dietro palazzo Ferné, dove c’era l’infermeria del pronto soccorso e dove si riuniva anche il CLN, alle cui riunioni partecipava anche lui. Ancora nel suo libro “E café d’Cai” l’alfonsinese Tonino Pagani così lo ricorda: “Un pomeriggio entrò nel bar un signore che - ancora Tonino d’Cai -, sorridendomi, mi chiese un caffè; io glielo servii mentre si accingeva a sedersi al tavolino; a mio giudizio, poteva avere sui quaranta o quarantacinque anni, capelli brizzolati, viso scavato, occhi molto espressivi; non l’avevo mai visto. Avevo appena terminato queste riflessioni, che udii esclamare: “Mo sit te Andrea?”. Mi voltai e vidi mia madre che, con passo svelto, si dirigeva verso quel tavolo; si abbracciarono, lui chiese di mio padre, e come seppe della sua morte avvenuta nel ’39, ne fu molto dispiaciuto. Fu così che vidi per la prima volta Andrea Minguzzi, l’eroe alfonsinese della Guerra di Spagna, di cui avevo sentito parlare alla radio diversi anni prima. Mi avvicinai e, rammentando l’episodio trasmesso da Radio Mosca, gli stesi la mano con rispetto e ammirazione e strinsi la sua, con grande piacere, aggiungendo emozionato: “Allora, gliel’hai fatta quella volta!” Lui mi rispose: “È vero, ma l’ho pagata cara, porto ancora, come triste ricordo, un proiettile ficcato in testa vicino al cervello, e quando si muove mi ritrovo per terra. Una volta o l’altra, ci rimarrò!” Rimasi sconvolto udendo quelle parole dette con rassegnazione, ma col sorriso sulle labbra. Da quel giorno, ogni pomeriggio, mi faceva visita, e così mi raccontava dei fatti successigli in quello sfortunato paese: la Spagna.” Finita la guerra va ad abitare in via Saffi 26, poi in Corso Garibaldi n° 39 e di nuovo in via Saffi al n° 35. Muore ad Alfonsine il 5 ottobre 1954.