Danio Ernesto, nato il 9 aprile 1880 da genitori ignoti a Pagani (Salerno). Cestaio, anarchico. Sposa Giuseppina Aversa e, nel 1910, nasce la prima figlia Luisa, seguita da Anarciso e Libero ed i maschi, per contribuire al ménage quotidiano e alleviare i disagi economici, lavorano presso un’industria conserviera. Successivamente abbandona la famiglia a Sant’ Egidio del Monte Albino (Salerno) e si trasferisce a Nocera Inferiore (Salerno) dove convive per dal 1914 al 1915 con l’operaia Emilia Buonacosa, di quindici anni più giovane di lui. Le prime notizie sulla sua militanza politica risalgono 1908 quando è arrestato per porto d’armi e poi al febbraio 1909, quando rischia l’ammonizione per l’attiva propaganda svolta tra gli operai. Nel 1913 e 1914 gli vengono imputati i reati di oltraggio e lesioni. Segretario della lega dei cestai di Pagani, nel 1917 è condannato a tre anni di carcere per le manifestazioni del 1917 e a giugno del 1920 è denunziato perché diffonde «Umanità nova» e opuscoli anarchici. Il suo nome è ritrovato negli appunti di Errico Malatesta per cui il Ministero dell’Interno da disposizioni che il fascicolo di Danio non venga mai distrutto. Nel febbraio 1924, scontati cinque mesi di carcere per falsificazione di documento, riprende l’attività sindacale, tentando di organizzare i cestai per il 1° maggio. Denunciato per porto abusivo di arma, si porta a Milano dall’anarchico Alfonso Leccioli, da dove nel 1925 fugge in Svizzera a Locarno dove viene arrestato e probabilmente espulso raggiunge la Francia e Parigi, dove può contare sull’appoggio di Emila Buonacosa, ma il 28 aprile 1927, rientrato in Italia è sorpreso a Sant’Egidio del Monte Albino, finisce in carcere per quattro mesi ed è poi confinato a Lipari per cinque anni. Durante gli anni della sua permanenza al confino, Ernesto Danio si dedica all’attività di venditore ambulante di gelati e gassose. Durante gli anni del confino non gli è mai accordata alcuna richiesta di licenza, neanche in casi eccezionali, come quella dell’11 aprile 1931, in occasione del peggioramento delle condizioni di salute del suocero, Aniello Tortora. La richiesta viene respinta come quella inoltrata cinque giorni dopo, il 24 novembre in cui chiedeva la licenza «per sistemare affari di famiglia legati alla morte del suocero». Rientra dal confino nell’agosto del 1932 e nel febbraio 1933 ripara a Parigi, dove entra in contatto con Emilio Lussu che era con lui a Lipari ed Emilio Strafelini. Successivamente si traferisce a Marsiglia. Il 1934 è un anno molto intenso, raggiunge la Tunisia ed è arrestato mentre cerca di varcare il confine per raggiungere la Francia. Nel frattempo, frequenta assiduamente i due anarchici Italo Del Prospero e Vincenzo Perrone. Insieme ricostituiscono il gruppo degli anarchici confinati a Lipari. Ai primi del 1935 è a Barcellona dove con Guglielmo Gennari e Pietro Foglio tenta di organizzare un attentato a Benito Mussolini in Italia. Trasferitosi a Tunisi, il 9 agosto 1934 è rispedito a Marsiglia da dove il 14 gennaio 1935 scrive una lettera alla moglie, manifestando il proprio dispiacere per la morte del figlio Anarciso, ucciso dai fascisti mentre cercava di espatriare clandestinamente. Arrestato a Grasse in Provenza, viene espulso dalla Francia nonostante la difesa dell’avvocato Aline Morgues, e si trasferisce in Spagna a Barcellona, dove il 19 novembre 1935 un giornale spagnolo pubblica una sua fotografia come venditore di noccioline nei cinema e Danio manda il ritaglio del giornale a Giovanni Angelucci. Trasferitosi a Gandía, si offre come custode dello stabilimento per la trasformazione degli agrumi “Vital” che produce succhi ed essenze, diretto dai due connazionali Bibbi e Londero; le sue speranze vengono però rapidamente deluse, in quanto Londero serba nei suoi confronti un contegno di assoluto disprezzo; poco più generoso si mostra il suo correligionario Bibbi, limitandosi a dispetto di una situazione finanziaria all’apparenza piuttosto florida ad elargirgli di tanto in tanto qualche modesto obolo che ha tutto il sapore dell’elemosina. Lo sfortunato antifascista deve così attrezzarsi a vivere del prodotto della vendita di berretti, ciambelle, mandorle e gelati, integrato dai sussidi che riceve saltuariamente da Giuseppe Angiolucci un confidente della polizia, sussidi che, sebbene motivati dal desiderio della Polizia Politica di trattenere una simile testa calda nella cittadina della provincia valenciana, ove egli può essere efficacemente sorvegliato, gli consentono nondimeno di sopravvivere. Il primo maggio 1936 partecipa al corteo sventolando una grande bandiera rossa gridando fino a tarda notte “Viva l’Anarchia!” e “Morte a Mussolini!”. Il giorno successivo scrive alla moglie: “…Sempre per gli altri mi son sacrificato, sai bene l’amore che sento per l’Umanità e per quale soffro con rassegnazione, nella speranza che presto verrà il giorno della pace universale.” In gravi difficoltà economiche è costretto a chiedere aiuto alla Casa degli Italiani a Barcellona, dove ottiene buoni pasto e alloggio. Frequenta gli ambienti sovversivi e si mostra un accanito antifascista. L’11 luglio 1936 spedisce in Italia una sua foto della manifestazione dove impugna una bandiera rossa. Insieme a Bibbi e Londero progettano infatti un attentato al Duce e si lamenta di non ricever i soldi necessari per organizzarlo. Arrestato ammette l’incendio cel circolo cattolico e di una chiesetta di campagna. Invitato a staccare i manifesti che aveva affisso a Gandìa, dichiara di preferire l’arresto e di essere ammazzato affermando “prima sono un uomo e poi un anarchico”. Viene in ogni caso rilasciato e continua a ricevere il giornale “Giustizia e Libertà”, mentre continua a vivere a Gandìa con l’aiuto di Gino Bibbi. In Italia viene iscritto nel Bollettino delle Ricerche e nella Rubrica di Frontiera con la qualifica di attentatore da arrestare. Scoppiata l'insurrezione franchista, si arruola nel battaglione “6 ottobre” guidato da Fernando De Rosa. I dissensi con alcuni comandanti lo conducono a rientrare a Gandia per poi a passare nelle milizie spagnole e, partecipa allo sfortunato tentativo dei catalani di riconquistare l’isola di Maiorca nelle Baleari caduta nelle mani dei franchisti. Sbarcato con la spedizione il 28 agosto è ferito alla testa a Manacor. Ricoverato a Valencia, il 6 novembre 1936 torna al fronte, dove combatte con valore meritando i gradi di capitano. Dopo la fine della seconda guerra mondiale, ritorna a vivere a S. Egidio del Monte Albino, all’epoca ancora aggregato al comune di Angri, così come stabilito nel 1929. A questo punto, Danio intraprende una nuova battaglia, forte anche dell’appoggio dei suoi concittadini: la ricostituzione amministrativa del comune di S. Egidio. Danio non si perde d’animo, si rivolge ai suoi amici socialisti di Roma e così, a distanza di circa un mese dalla proclamazione della Repubblica italiana, il primo luglio 1946 si ricostituisce il comune di S. Egidio. Dopo qualche anno, un problema agli arti lo condanna alla sedia a rotelle, questo non gli impedì però di costituire sempre un punto di riferimento. Muore a Siano (Salerno) nel 1966.

Annotazioni: Scheda biografica integrata con informazioni del Dizionario Biografico on line degli Anarchici Italiani https://www.bfscollezionidigitali.org/collezioni/6-dizionario-biografico-online-degli-anarchici-italiani