Riccioni Renato di Cesare e Falzetti Caterina, nato il 25 gennaio 1894 a Camerino (Macerata). Calzolaio, comunista. Perde il padre dopo ha 18 mesi. La madre di famiglia benestante in cui Il nonno materno, Oreste Falzetti, aveva combattuto nel 1866 con Garibaldi a Bezzecca, lo tiene con sè fino all'età di dieci anni poi lo affida all’orfanotrofio della Congregazione di Carità di Camerino per l’impossibilità della madre di provvedere ai suoi studi. Terminate le elementari, gli ospiti dell’orfanatrofio venivano affidati, durante il giorno, ad artigiani o contadini per imparare un mestiere. Riccioni va a bottega da un calzolaio anarchico che è determinante per la sua formazione politica. Uscito dall’orfanatrofio, a quanto sembra prima del compimento dei diciotto anni, inizia in proprio l’attività di calzolaio, Nel 1914, a seguito del movimento rivoluzionario che interessa le Marche, si costituisce a Camerino una sezione giovanile socialista alla quale Riccioni è tra i primi ad aderire. Nel 1915 all’età di 21 anni è chiamato alle armi e assegnato ad un reparto di fanteria. La drammaticità dell’esperienza della prima guerra sarà determinante nella sua formazione. Di tale esperienza, che lo segnerà per tutta la vita, parlerà persino tanti anni dopo per giustificare la scelta dell’antifascismo e della guerra di Spagna. Poco entusiasta del servizio militare subisce un processo per essere tornato a casa tra il 23 e il 24 luglio 1917, a salutare la madre senza permesso e condannato. Assegnato nel marzo 1918 al 20. Reggimento Fanteria, combatte in Francia sul fronte della Marna e a Bligny dopo il cedimento del fronte degli alleati, cade prigioniero dei tedeschi. Il 19 luglio del 1918, Riccioni viene internato nel campo di concentramento di Amburgo. Anche tale esperienza è drammatica ed inevitabilmente segna la sua vita. Rientra in Italia nel gennaio del 1919 e congedato a settembre. Nel 1921 aderisce a un gruppo anarchico-comunista di Camerino e fa parte del direttivo di una cooperativa di operai. Per vivere fa il calzolaio e nel periodo estivo si reca a lavorare come cameriere negli alberghi del litorale adriatico. Il 10 ottobre del 1921 si sposa con Venanzina Gagliardi, nata a Matelica il 18 maggio del 1900. Perseguitato dagli squadristi, Riccioni accetta il 24 maggio del 1924 un'offerta di lavoro di sei mesi in una miniera francese. Le sue condizioni fisiche sono precarie, sia per natura, sia soprattutto dopo la guerra e la prigionia; il lavoro nella miniera non fa che peggiorarla. Terminati i sei mesi si reca a Parigi e riprende il suo vecchio lavoro dl calzolaio. Per arrotondare i guadagni si arrangia anche a pulire i vagoni letto. In quel periodo Riccioni abita in un albergo di cui faceva parte la bottega ove lavora. A Parigi prende contatti con altri fuoriusciti italiani tra cui l'on. Eugenio Chiesa e il prof. Camillo Berneri. Nel 1928 risulta iscritto al Partito Comunista. Sul finire dell'anno, dopo un breve periodo passato a Longwy ancora come minatore, riprende a St. Denis il suo lavoro di calzolaio impegnandosi maggiormente nell'attività antifascista. Milita fino al 1931 nel Fronte Unico Antifascista, d’ispirazione comunista, comitato di San Denis. Tale comitato era uno dei più attivi dell’organizzazione. In esso veniva svolta attività non solo di propaganda ma anche teatrale, musicale e sportiva. Riccioni è attivo poi nell'Unione Popolare Italiana, facendo parte dei gruppi di lingua italiana iscritti al Partito comunista. Agli inizi del 1932 lo raggiunge la moglie Venanza Gagliardi con la figlia minore, mentre l’altra rimane con la suocera. Anche la moglie inizia a lavorare per poter mandare denaro in Italia per la bambina e la suocera. A Parigi nella sua bottega di calzolaio si ritrovano gli elementi antifascisti per organizzare la propaganda. Secondo la polizia “La sua bottega di calzolaio è un noto ritrovo di elementi connazionali estremisti che il Riccioni è ben lieto di accogliere e fra i quali egli svolge attiva propaganda antifascista”. Nel dicembre del 1931, la moglie, come corriere del PCd’I, torna a Camerino dove lascia una valigia con doppio fondo piena di giornali clandestini, per ritornare dal marito il due gennaio 1932. Nel 1934, a seguito di una rissa, viene espulso dalla Francia. Sosta brevemente in Belgio e poi si stabilisce in Svizzera a Ginevra: qui prende parte attiva all'organizzazione dei comizi contro la guerra d'Africa. In quel periodo venne, secondo una fonte confidenziale della polizia fascista, espulso dal PCI, per motivi ignoti per essere poi riammesso nell’aprile del 1934, dopo il mutamento di linea dell’Internazionale Comunista a favore del Fronte unico antifascista. Rientra in Francia con lo pseudonimo di "Calzolari" e vive nella clandestinità insieme alla moglie. Tale periodo è particolarmente difficile per la sua famiglia perchè non può lavorare ed in più si ammala per circa sei mesi. Non avendo mezzi, lui e la sua famiglia riescono a sopravvivere solo per la solidarietà dei compagni. Allo scoppio della guerra di Spagna Riccioni è ancora malato e parte al fine ottobre 1936 ugualmente ancora non completamente ristabilito. Arruolato il 7 novembre 1936 nel Battaglione Garibaldi della XII Brigata Internazionale. Compie l'addestramento a La Roda sotto la direzione del capitano Picelli ed esce col grado di tenente. Il 10 gennaio 1937 è a Mirabueno con i gradi di tenente. Partecipa con il Battaglione Garibaldi a tutti i combattimenti nella difesa di Madrid ed Estremadura, Passato alla Brigata Garibaldi dirige i servizi logistici, trasmissioni, munizionamento e intendenza della 4. Compagnia in Aragona. L’unico scritto di Renato Riccioni in nostro possesso è una lettera redatta in Spagna, indirizzata alle figlie, datata 17 giugno 1938. Con tale lettera tenta di spiegare alle figlie le ragioni delle proprie scelte e delle sofferenze che aveva imposto a tutta la famiglia. Accenna ad alcune esperienze che sono state fondamentali per la sua vita: la prima guerra mondiale e la scelta antifascista, quale obbligo di ogni lavoratore. Inoltre, esalta la pace come obiettivo dell’agire ma per essa partecipa ad una sanguinosa guerra come quella di Spagna. Concepisce la vita come l’obbligo, anche per le figlie, d’impegno per la libertà, ed una Italia migliore, per cui è necessaria l’unità della classe operaia, lo studio, e la lotta contro chi vive oziosamente rubando e speculando su chi lavora. Riccioni partecipa infine all’ultima offensiva repubblicana sull’Ebro e cade il 13 settembre 1938 sulla Sierra de Caballs. Non si hanno notizie precise sulle circostanze della sua morte. Una fonte afferma che egli cade nel corso di un attacco, a causa dello scoppio di una bomba lanciata da pochi metri di distanza. La seconda fonte afferma che Riccioni, nel tentativo di soccorrere un ufficiale, muore a seguito dello scoppio di una bomba a mano che aveva agganciata alla cintura, colpita da una pallottola. Secondo una fonte a differenza di quanto registrato nel Comune di Feltre, sarebbe morto il 12 settembre e non il 13.

Annotazioni: Scheda biografica che include informazioni di Roberto Lucioli per il volume Gli antifascisti marchigiani nella guerra di Spagna (1936-1939) [Ancona]: ANPI Marche/Istituto regionale per la storia del movimento di liberazione nelle Marche, stampa 1992 e altre tratte dell\\\'articolo di Bruno Pettinari in Renato Riccioni, Biografie di comunisti marchigiani: da Livorno alla clandestinità, I Quaderni dell\\\'Istituto Gramsci delle Marche, n.6 1993, pag. 120-134 https://istitutogramscimarche.it/wp-content/uploads/quaderni-gramsci/6%20.%20Biografie%20di%20comunisti.pdf