Lantini Dario Renato, nato a Milano Intellettuale aderente a Giustizia e Libertà. Nonostante si posseggano anche diverse sue fotografie, Lantini non è identificato con certezza. Di famiglia repubblicana, ex-ufficiale dell’esercito italiano, membro del movimento di Giustizia e Libertà, alla fine del 1936 espatria in Svizzera per poi spostarsi a Parigi per andare a combattere in Spagna con i repubblicani. Presentatosi alla moglie di Randolfo Pacciardi ottiene una lettera di presentazione da Cipriano Facchinetti, ex-deputato del Partito Repubblicano, in esilio a Parigi. Nel febbraio del 1937 giunge in territorio iberico nei giorni in cui infuria la battaglia del Jarama e si presenta la fronte. Non avendo regolarizzato la sua posizione è rimandato ad Albacete, sede delle Brigate Internazionali. Arruolato nel Battaglione “Garibaldi” a cui subito dopo si aggrega sul fronte di Guadalajara ed è col grado di tenente nominato comandante della 3. compagnia. Il 4 aprile 1937 combatte a Morata de Tajuña dove è promosso capitano ed il 24 dello stesso mese è in azione a Casa de Campo. Con la appena costituita Brigata “Garibaldi” sul fronte di Huesca è nominato vicecomandante del3° Battaglione. Nell’agosto del 1937 durante la battaglia di Brunete, partecipa all’azione di Villanueva de la Cañada e quando Aureliano Santini “Morelli” rimane ferito, Dario lo sostituisce al comando del 3. Battaglione il 17 agosto. Il 29 agosto 1937 in trincea a Farlete è investito da una scarica di mitraglia che lo ferisce mortalmente, mentre col suo porta-ordini è in piedi per sorvegliare una trincea nemica. Secondo Pietro Nenni muore il 30 agosto in ospedale da campo, mentre secondo altre fonti la morte è da collocarsi in ospedale il 9 settembre. Qualche giorno dopo la morte la salma è trasportata a Barcellona, scortata dai suoi uomini e tumulata nel Cimitero di Montjuich, accanto alle tombe di Libero Battistelli e Mario Angeloni. Il 18 settembre 1937 viene pubblicato sul numero 12 del giornale "Il Garibaldino" della Brigata Garibaldi un suo necrologio: “Fuggito da Milano, ne! Febbraio scorso giunse a Parigi, dove apprese che un battaglione italiano si batteva in Ispagna per difendere la Repubblica. II battaglione si chiamava Garibaldi e chi lo comandava era un repubblicano Pacciardi. Lantini, di vecchia famiglia repubblicana, conosceva di nome di Pacciardi. Si recò immediatamente da sua moglie, ed ottenuta una di presentazione da Facchinetti partì immediatamente per la Spagna. Giunse mentre si svolgevano i combattimenti del Jarama, ma non essendo passato da Albacete— per non perdere tempo, diceva lui—fu richiamato alla Base delle Brigate Interazionali, per regolarizzare la sua situazione. Ritornò al Battaglione, a Guadalajara. Fu nominato tenente-era già tale nell’esercito italiano- e gli venne affidato il comando della 3. Compagnia. In Italia, non mi sono mai dedicato alla politica — diceva spesso -l otto per la democrazia, la liberta...’ Però, amava discorrere lungamente di politica con tutti i rivoluzionari per conoscere i problemi che ancora ignorava. Voleva soprattutto sapere, conoscere la vita sociale del popolo russo. Intelligentissimo, timido, bonario, educato, sapeva farsi amare, stimare, obbedire, da tutti. Combattè a Morata de Tajuña alla testa della sua Compagnia. Fu promosso capitano prima dell’azione di Casa di Campo. A Huesca, venne nominato aiutante maggiore del 3. Battaglione. Partecipò all'azione di Villanueva de la Cañada. Sul fronte di Saragozza quando Morelli rimase ferito, Dario Lantini diventò il comandante del 3* Battaglione. Era meticolosissimo, molto attivo. Voleva tutto vedere, tutto vigilare. Considerava tutti i suoi militi come altrettanti figli. In qualunque ora della giornata e della notte, era in trincea, a perlustrare le linee Mentre col suo porta-ordini Moretto, si rizzava in piedi per sorvegliare una trincea nemica, preso di mira, cadeva colpito al petto. Nei giorni precedenti, aveva discusso a lungo sull’unità necessaria alla vittoria. Era molto addolorato per tutto ciò che poteva generare degli screzi. Al commissario politico Barontini, con cui aveva discusso lungamente, aveva affermato la sua volontà unitaria ed il suo fermo proposito di lottare in Ispagna contro il fascismo, fino alla vittoria. Colpito a morte. mentre i suoi militi circondavano la lettiga, ebbe la forza di raccomandare ancora una volta l'unita, tanto necessaria per la vittoria. E’ morto all’Ospedale di Cartegòn [?]. Un gruppo di militi del suo Battaglione vegliò la salma dell’amato Capo e partecipò ai suoi funerali. La salma verrà trasportata a Barcelona, per essere collocata in una tomba accanto agli altri Eroi, Battistelli e Angeloni.” Il governo della repubblica spagnola gli assegna la Medaglia al Valor Militare alla memoria. Il 25 settembre 1937 il “Nuovo Avanti” di Parigi pubblica il suo necrologio scritto da Giorgio Braccialarghe con lo pseudonimo di Giorgio Testena. “Dario era venuto direttamente dall’Italia. “la signorina”. Non dimenticherò mai quel suo atteggiamento timido, quella gentilezza innata che permeava ogni sua azione, ogni sua parola. Però la signorina aveva stoffa. Ufficiale di complemento nell’esercito italiano, gli venne affidato il comando di una compagnia. La terza. A Morata de Tajuña conobbe il battesimo del fuoco e si portò ottimamente. Alle doti militare univa quel saper fare che gli accattivava subito l’affetto dei compagni. E i militi impararono a conoscerlo e ad amarlo. Aiutante Maggiore nel terzo battaglione condivise con Penchienati il merito dell’azione di Villanueva del Pardillo. Certo! Non era facile occupare la posizione additata dallo Stato Maggiore del Centro. E quel terzo battaglione, ultimo venuto ad ingrossare le file dei garibaldini non si accontentò di raggiungere l’obiettivo: “Perché tagliare un sentiero quando tre chilometri più aventi vi è una grande strada che permette ai fascisti di mantenere il contatto con le loro forze di Majadahonda e di Las Rozas ?” domandò Penchienati a Dario. E Dario rispose: “Tagliamo la strada.” L’operazione ritenuta impossibile dallo Sato Maggiore del Centro e compiuta con straordinaria perizia fruttò una citazione sull’ordine del giorno e quel che più conta la rapida caduta di Vallanueva del Pardillo. Inviato da Pacciardi per ricostituire il collegamento lo trovai al posto di comando. “Come è andata?” gli domandai. “Bene” mi rispose. “Tiravano maledettamente ma era nel loro diritto”. Sempre così. Semplice e tranquillo come se anche le situazioni eccezionali rientrassero nella logica della vita. E aveva ragione lui. […] A Villanueva de la Cañada doveva raggiungere il suo battaglione e sembrava che i fascisti infiltratisi per il letto della Aulencia non permettessero il collegamento. Gli furono affidate quattro tanks perché le portasse in prima linea cercando, in un secondo tempo, di tagliare con la loro collaborazione le forze che si erano infiltrate. “La mia situazione non era invidiabile” raccontava più tardi. “Camminavo in mezzo ai quattro mostri, i quali, appena scorti, erano stati fatti segno da un diluvio di cannonate. Le vedevo scoppiare da tutte le parti. Allora fermata una tank, vi salii. Sai che mi parce. Che per temendo di mettere le scarpe al sole mi fossi cercata una bara d’acciaio.” E poi scollando la testa diceva: “Non ce la fanno a colpirmi” e avvalorava la sua affermazione con il fatto che pochi giorni prima mentre tornava in ambulanza con l’autista, il dottore e un’infermiera, una raffica di mitragliatrice aveva risparmiato soltanto lui. […] Sul fronte d’Aragona è arrivato il suo turno. Un martire di più. Un compagno di più da vendicare nelle prossime battaglie in Italia.”. Il Consiglio Regionale Lombardo il 7 novembre del 1976 conferisce a Dario Lantini la Medaglia d’Oro alla memoria in occasione del quarantesimo anniversario della Guerra Civile Spagnola.

Annotazioni: Scheda biografica basata sulle informazioni di Augusto Cantaluppi per il suo libro La Ringhera in Spagna, antifascisti milanesi nella guerra civile spagnola (1926-1939) ed integrata da RGASPI. F. 545. op. 6. D. 483 Si rongrazia Fabrizio Mancini per aver fornito copia del necrologio sul Nuovo Avanti.